Devo dire che oggi era variabile; facevo appena in tempo a finire di pensare alla parola variabile, che il cielo era già cambiato.

Basta aspettare cinque minuti e si ha tutta la gamma di possibili condizioni metereologiche.

Mi sono alzato sul tardi e ho aspettato un po’ prima di uscire stamane. La vista della baia era spettacolare, soprattutto se ammirata dal letto. La colazione al piano di sopra offriva un’ancor più eccellente panorama su Torshavn, peccato che i croissant non fossero all’altezza.

Sono partito col sereno ma dopo due tornanti, sulla strada 50, ecco il brutto tempo. Nuvole minacciose che arrivavano da nord. Lo spettacolo offerto dalla strada invece era insuperabile. Qui i faroesi le chiamano “buttercup routes” e mi limito solo a trascrivere che cosa indicano: particularly scenic routes for travellers.

Non c’è molto da tradurre.

La Oyggjarvegur (non so come si pronunci) era strepitosa. Mi sono fermato tante volte, percorrendo il profilo del fiordo dall’alto. Era abbastanza vertiginosa. Mi chiedevo come le pecore non ruzzolassero giù. Quelle, belle beate e placide nei punti più impervi e minacciosi. Ho offerto dei biscotti TUC ma non hanno gradito.

Dopo il giro in alta quota, ho preso la litoranea verso la parte settentrionale di Streymoy. I declivi delle montagne erano di un verde intenso. Avrei capito subito il perché: un violento nubifragio si è abbattuto cancellando tutto: colori, buoni propositi e ottimismo. Ho iniziato a maledire le Faroe, il nuvolone toccava il mare, era tutto orrendamente grigio. Non vedevo nulla. Tra l’altro la strada per Saksun era formata da una corsia sola. Speravi di non incrociare nessuno per evitare di mettere la retromarcia fino alla prima piazzolina di sosta. Ma credo che fossi il solo a preoccuparmi del tempo inclemente. Le paperelle scivolavano per nulla turbate nei rigagnoli che, ingrossando minacciosamente, temevo straripassero dall’alveo naturale.

Ho iniziato a rivolgere delle preghiere a qualche santo, ma dopo gli undici chilometri di agitazione al massimo grado, ecco spuntare il sole, facendo splendere il tutto, come se il diluvio passato non fosse mai capitato. Così sono giunto nell’idilliaca cittadina di Saksun, paesaggio da cartolina, dove in tutto vivono 8 persone e non so quante migliaia di pecore. Ho cercato di scalare il pendio per raggiungere le cascate, ma dopo aver superato con fatica la prima pendenza, incastrando gli scarponi nelle orme melmose di altri gitanti, ho rinunciato. Ogni tanto ho anch’io la testa sulle spalle: se per caso non dovessi tornare, al capo verrebbe l’ictus. Ecco la vera ragione, mica per altro o per la mia incolumità.

Così ho deciso di prendere il sentierino che portava fin dentro al fiordo per arrivare al mare. La bassa marea lo permetteva. Era tutto in piano. Peccato che il mare fosse “là” e quel “là” erano i soliti quattro chilometri. La baldanza dell’andata è sparita appena approdato alla spiaggia argenta di fronte al mare. Mi aspettavo che la protezione civile mi venisse a prendere e a riportarmi indietro. Ma la cosa più preoccupante era il moto intestinale iniziato nel bel mezzo del fiordo. Dove sarei mai andato a defecare senza piante, senza carta igienica? Beh, almeno l’acqua non mancava. Per fortuna che non ho avuto bisogno. Ma ho passato un altro quarto d’ora di terrore puro.

Sono tornato indietro a fatica, denti serrati, con gli scarponi che sprofondavano nella sabbia. Mi sarei lasciato morire ben volentieri. La marea però non si alzava e…, niente. Non sono stato travolto. Anzi ho dovuto arrancare fino al posteggio dove ho capito della presenza del defibrillatore appeso alla parte di una casupola: pensavo che mi sarebbe davvero servita una bella scossa per riprendermi. Invece ho cacciato le mani nel sacchetto del Bennet e ho tirato fuori i biscottini Oreo, provvidenziali, ingurgitati in tempo zero.

Dopo la sfacchinata, non soddisfatto, al limite del masochismo, mi era venuta voglia di andare a vedere la cascata a Vestanna. Ma il pensiero è durato solo pochi secondi, per fortuna.

Sono arrivato finalmente nella civiltà, a Torshavn. Basta camminate, basta sforzi. Mi sono rilassato al faro, sopra il forte della città. C’era un gattino che si lasciava ben volentieri coccolare da tutti ma non da me. Peggio di Jake. L’ho lasciato al suo destino di gatto faroese malmostoso.

Sebbene sentissi la stanchezza, dovevo arrivare alla penisoletta di Tinganes, sede del parlamento delle Faroe, era una tappa irrinunciabile. Le casette rosse con il tetto in torba. L’ufficio del primo ministro è nella casetta centrale. Mi chiedevo se per caso avessero bisogno di un Primo Ministro. Magari domani o dopo andrò a portare il curriculum. Il cielo ovviamente dal sereno è passato al grigio dopo pochi passi. Ma ho evitato accuratamente di bagnarmi.

Così per le 18 rientro all’hotel, sulla collina che domina Torshavn e finalmente un riposo meritato.