Dalla primavera di ieri siamo passati direttamente all’inverno. Un cielo cupo con nuvoloni bassi e una pioggia insistente mi hanno svegliato stamattina. E sì che ero bello carico di buone intenzioni, tant’è che ho puntato la sveglia alle sette.

Ma visto il tempo ho poltrito fino alle 8, la mia bella e lunga passeggiata andava a farsi benedire. Mi sono consolato con la colazione, mangiando ben tre briochine, davvero piccole. Non sapevo bene cosa fare.

Però rimanere in albergo non se ne parlava proprio.

Con poca voglia e a malincuore ho preso l’auto e ho percorso la famosa “butter cup route” che mi aveva stregato il cuore e l’anima. Invece stamane non vedevo neanche il ciglio della strada. Temevo di finire dritto nel fiordo. Andavo a passo di lumaca, con le orecchie tese in ascolto di qualche belato di pecora suicida.

Arrivo sulla statale, chiamiamola così, e mi sono portato nei due tunnel, dove anche lì c’era la nebbia. La direzione era verso Est per raggiungere l’isola di Vagar, che mi ha accolto al primo giorno. Solo che era tutto grigio e non si vedevano nemmeno le isolette.

Poco convinto sono arrivato alla destinazione prefissata, la cascata Gasadalur, ma ho dovuto aspettare un po’ prima che almeno la pioggia smettesse o scendesse in modo accettabile, da non farmi la doccia.

Ero un po’ deluso da tutto e anche dalla cascata che mi pareva solo una pisciatina che scendeva dai prati. In realtà non era la cascata in sé ma era il setting iconografico a dare credito a questo posto. Ovviamente io esageravo coi sentimenti che andavano di pari passo con le condizioni metereologiche.

Fatte due foto, sono risalito fino al paesino e sono arrivato alla base della montagnucola. Una bella scarpinata di almeno tre chilometri. Non me la sono sentita di andare oltre prima di finire come il reperto protostorico della nave vichinga e poi a mezzogiorno dovevo andare a Vestmanna per la crocierina. La nebbia e le nuvole si sono alzate. Adesso si potevano vedere con facilità le isole vicine e una schiarita. Ma nulla di più, continuava a piovere. Uscito dal tunnel, fermo sulla piazzolina per fotografare, una cinesa tutta bagnata e disperata mi chiede quanti chilometri ci fossero alla cascata. Le rispondo: ”three”. Lei poco convinta: ”thlee?”. E io di rimando: “Yes, thlee, do you need a passage? The tunnel is dangerous…”

E così ho fatto inversione e l’ho accompagnata fino alla cascata. Sto proprio invecchiando: ho aiutato una cinesa, pure femmina. Ma anche lei! Mica sta percorrendo il cammino di Santiago. Come può pensare di andare da sola alle Faroe? Cavalcando le pecore? Boh, misteri.

E così di corsa mi porto a Vestmanna, venti chilometri di curve, di tunnel, di pecore, di bagnanti che si facevano una nuotata nel mare. Mio dio, pazzi!

Arrivo trafelato giusto in tempo per la partenza della crocierina. Con mio sommo orrore era imbarcata una compagnia di Italiani. A parte dalla lingua, lo si capiva dalla cagnara che facevano e dallo “iamme-iamme” con cui intratteneva il capitano, il quale poverino, un vecchietto avvinazzato, se la rideva come un bambino. Io avrei voluto far affogare tutti.

Ma la risposta divina è stata immediata. Uno squarcio nel cielo e le nuvole in cinque minuti si sono dissolte lasciando un cielo sereno. Non riuscivo a capacitarmi di quel repentino cambio sia di tempo sia del mio umore, che mi ha fatto sopportare e desistere da istinti omicidi.

La gitarella è stata proprio bella, col sole poi… Peccato per gli uccellini, le pulcinella di mare, che fossero annidati a cento metri sopra la mia testa per cui non vedevo proprio nulla. Ma fa niente. Ero contento lo stesso.

Anche dopo essere sbarcato, mi sono attardato per i paesini minuscoli e con lentezza esasperata mi sono portato alla capitale. Ero così pacioso e tranquillo con me che ho sopportato le code in tangenziale. Mi sono pure fermato a vedere lo stadio di Torshavn per vedere se davvero fosse poco più grande di un campetto da oratorio. Dovevo ricredermi, era enorme, grande più della città e dello stadio Senigallia di Como.

Il cielo ormai era proprio bello, azzurro, stabile, non me la sono sentita di andare in albergo ma ho preferito percorrere la parte sud di Stremoy, passando per i quartieri meridionali della cittadina. Ho percorso la litoranea seguendo le scogliere. La luce crepuscolare accentuava tutto, le pecore erano felici come il mio stato d’animo. La strada si srotolava per i dolci declivi e le pendenze morbide. Le isolette meridionali, sia quelle piccole, sia quelle grandi e più lontane, si stagliavano dietro la luce del tramonto.

Non sapevo davvero dove guardare. Ero davvero meravigliato dal sole e da tutto fino a quando sono stato costretto a ritornare in centro per la penultima notte qui alle Faroe.