Questa volta ci siamo svegliati presto, intenzionalmente, ma anche a voler dormire il cinguettio infernale degli uccellini è talmente fragoroso che per forza devi aprire gli occih.

Comunque, è meglio alzarsi presto, il sole è già alto nel cielo ed è chiaro. Per cui è inutile perdere del tempo quando poi alla sera alle 18 è buio pesto.

La colazione, condivisa con gli uccellini che sfacciatamente riuscivano a fregarci le briciole del pane, è stata la solita baguette riempita di nutella e poco più.

E così via in autostrada fino a St Pierre. C’era il traffico del lunedì mattina. E pensare che uno viene alla Réunion per un po’ di svago e disintossicarsi dallo smog, invece no. Poi, colpa di un incidentino, in prossimità di uno svincolo, c’era una coda chilometrica. Ho iniziato a pregare in creolo, con tutte le madonne che c’erano in giro…

Per arrivare al vulcano bisognava uscire a Tampon, ma che nome è di una città? Tampon? Sono stato tamponato a Tampon? Hai per caso un Tampon? Ma la cosa più buffa sono i quartieri della città, chiamati con un numero ordinale, per cui anziché chiamare Camerlata, Acquanegra, c’è il 17mo, il 13mo, il 20mo. La farmacia dell’11mo si faceva notare alla confluenza di uno degli innumerevoli incroci.

Davvero, che cosa complicata: solo i francesi possono inventarsi una cosa simile. Comunque, dopo essere uscito faticosamente dalla conurbazione asfissiante della costa, finalmente siamo arrivati ad un altopiano da dove si poteva ammirare tutto.

C’era un cielo azzurrissimo e tanto verde. Le vacche pascolavano placidamente sui campi. Il paesaggio idilliaco, bucolico ha lasciato piano piano il posto ad uno brullo, lavico, con rocce. Non c’era più niente oltre che una strada che passava in mezzo alla lava.

Dopo venticinque chilometri su questo altipiano, di cui gli ultimi cinque su un tratturo pieno di buche, siamo arrivati alla caldera e il conetto da dove dovrebbe uscire la lava. Vedere questo brufolino in una vallata completamente piatta mi disturbava.

Mater ha camminato, poi si è lamentata e poi è entrata in uno stato catatonico. Non ne voleva più sapere di vulcani. Si è attaccata al telefono alla ricerca di un wifi e per lei il mondo poteva essere sommerso dal Piton de la Fournace.

Verso le tredici, grossi nuvoloni si erano nel frattempo addensati, facendoci cadere in depressione, siamo scesi a rotta di collo, giù per il pendio scosceso della parte occidentale dell’isola.

Tempo di mangiucchiare qualcosa al volo, siamo arrivati al mare, dove per fortuna splendeva il sole. Ho convinto Mater a togliersi gli scarponi e a mettersi in un abbigliamento più consono alla spiaggia che alla montagna. Abbiamo aspettato sul lungo mare che il sole tramontasse.

E così, contento di aver assolto un compito necessario, siamo andati a mangiare.