A Palazzo Cernezzi

È da un anno e qualche mese che devo rinnovare la carta d’identità. Soltanto oggi sono riuscito a portare a termine questa incombenza.

Non è per pigrizia, ma ho sviluppato una profonda idiosincrasia verso tutto quel che sa di burocrazia.

qui tunc it per iter tenebricosum
illuc unde negant redire quemquam.

Ecco, anche a me sembrava di procedere per una strada oscura… Proprio come il passero morto dell’amica Lesbia di Catullo.

Ho deciso di prendere appuntamento (adesso è più cool!) direttamente dal sito, ben tre settimane fa. Tutto okkupato.

Ma vi rendete conto? Un appuntamento per cinque minuti. E l’unico buco verde era oggi, a mezzogiorno. Perché io faccio le notti e va beh, non mi ha scompifferato la giornata, ma… dico io?

On line non si può farla? Te li do questi 22 euro. La foto te la faccio meglio con il Samsung che con le macchinette che ti rubano 5 euro e vieni sempre con la faccia da pesce lesso.

Poi, oggi, Giovedì, giorno di mercato. Viale Lecco un girone infernale, restringimenti a destra e a sinistra per causa di alcuni camion che dovevano scaricare la merce nel negozio Unieuro. Batte. Forte. Sempre (e non dico cosa…).

Trovo un buco proprio dietro l’ASL. Mater l’avevo scaricata al volo tra le bancarelle, Jake felice snasa tutte le spisciazzate di cagnacci incontinenti.

E finalmente arrivo al Palazzo Cernezzi, sede del Comune dalla fine del 1800. Un cielo perfetto, almeno quello. Le bandiere flaccide giacciono pendenti dal pennone. Atmosfera perfetta per un set fotografico.

Dopo la temperatura corporea di rito, entriamo nel cortile interno. E scatta foto a destra, a sinistra, sullo scalone d’onore. Fagliela capire a Jake che deve mettersi al centro, in posa, eretto.

Macché. Lui si distente flaccido, dietro a un angolo o a una colonna. Diecimila foto per ottenere quella perfetta, da mettere nei social, nella speranza di diventare un influencer anch’io.

Preso da questa incontenibile voglia di scattare, mi accorgo appena in tempo che sono le dodici. Mi metto a correre fino all’anagrafe. Trafelato, arrivo allo sportello 7. Aspetto. Prima di me ci dovrebbe essere (ma io non le ho creduto) una che aveva appuntamento alle 11.45. Con figlia a seguito. La sciura stupida, appena uscita dal parrucchiere, avrà la cultura pari a quella di Mondello (“Cennè Coviddi, tanto per intendere). Chiede, fa delle domande che neanche l’impiegata osa rispondere, completamente imbarazzata. Vuole barare sull’altezza della figlia. Tanto cresce.

A me invece cresce quell’incoercibile desiderio di alzarmi e tirare giù tutto dalle scrivanie. Ma mi trattengo. Jake mi salva. Le impiegate dallo sportello 4 allo sportello 8, compreso lo sportello Cimiteri, si alzano e guardano il gatto. A turno commentano, il pubblico pagante rimane estasiato. Per alcuni lunghi minuti, la macchina burocratica si ferma. Solo per ammirare Jake. Io con sorrisini falsi come una banconota da 3 euro, incomincio a smadonnare ma non posso: con un gatto così bello, devo essere anch’io una bella persona, mica un teppistello.

Tocca a me. Appoggio il gatto come se fosse il cellulare. Jake inizia le contorsioni, si lecca il culo, si passa le zampe sulla faccia, se ne strafrega dei gridolini estasiati di chi lo guarda. Io consegno la fototessera, il tesserino sanitario, la vecchia carta idenità, una banconota da 20 euro e una moneta da due. Speravo che l’impiegata tirasse fuori i biscotti per il te. D’altronde è un appuntamento galante!

Invece no, mi chiede se so che cosa è il trapianto d’organi. Le volevo quasi rispondere che no, davvero proprio non lo so… ma non volevo più stare lì. Sei firme. La nuova carta d’identità le arriverà entro 6 giorni lavorativi per posta raccomandata. Stica, mi scappa a denti stretti. Che ci vuole a stamparla?

Fa niente, esco fuori dall’Ufficio come se mi mancasse l’aria. Jake mi precede con grandi falcate. Anche lui è esausto.

Finalmente, sono riuscito a vedere il sole, il cielo azzurro e la cupola del duomo. E la certezza (forse) di avere la carta d’identità nuova.


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