Dopo la sbornia di ieri e il diluvio, oggi finalmente sole, con un venticello fresco, nuvolette bianche e un mare strepitoso. La luce del mattino è così talmente forte da farmi svegliare completamente.

Invece ho dovuto usare il bulldozer per tirare giù dal letto Carlo, ancora in preda ai fumi dell’alcool. Se doveva dormire, almeno poteva farlo in spiaggia. Ecco tempo di farlo rotolare giù dalle scale, che l’odore della paste lo convince a fare una colazione abbondante.

Infatti poco dopo si divora almeno sei croissant e non so quante nutelle. E poi si trasla come un automa in spiaggia. Non fa in tempo a trovare una posizione sotto il sole cocente e riparte col sonno da dove lo aveva interrotto.

Io intanto faccio amicizia con due iguane, conto le foglie delle palme. La vita del Me(v)d non fa per me, così lascio Carlo in cottura e me ne vado a fare un giretto più che altro cercando un cappellino che non mi facesse fumare le meningi.

Carlo da un cenno di vita verso mezzogiorno, dopo un paio di tuffi e dopo che davanti agli occhi gli si sono sfilate le tette di alcune teenagers francesi. Bastava così poco!

Facciamo la mezzaluna della spiaggia per intero fino alla punta e poi torniamo indietro.

Nonostante il metabolismo basso e il ciclo ciccardiano sfalsato, a Carlo si apre la voragine nella pancia e alle 12 30 puntualissimo si fionda al ristorante. “Voglio stare leggero”, le sue ultime parole famose prima di sedersi a tavola.

Si è scofanato degli spinaci, broccoli gratinati, piselli, carote, patate, due bistecche, un hamburgher nel panino tondo, due salsicce e non so cosa altro. Minchia.

Il pomeriggio invece l’ho costretto ad uscire perché altrimenti si sarebbe impoltrito ancora per una giornata intera.

Così dopo il parco pranzo, prendo in mano la situazione. Andiamo in città a Pointe a Pitre con il bus scassatissimo pieno di creoli simpaticissimi. A dire il vero quelli del Club Med hanno detto che sarebbe stato opportuno non andare da soli, che sarebbe stato pericoloso, che era un casino.

Invece è filato tutto liscio, non ci hanno derubato, forse impietositi dallo stato comatoso di Carlo e abbiamo fatto un giro per il centro ormai semidesertico perché il mercato del “poisson” era chiuso. Tempo di vedere questa città a metà strada tra Port au Prince di Tahiti e Nizza. Un connubio micidiale al quale non ero proprio abituato.

Un gigantesco albero di Natale stilizzato con un fil di ferro faceva da cornice a quattro altissime palme. Nel parco gioco riesco ad incastrarmi nei giochi per bambini, Carlo che se la ride come un pazzo senza aiutarmi.

Ormai distrutto nel fisico, puah, ‘sti giovinastri, lo riporto indietro dopo due ore, con un altrettanto scassatissimo pulman che non sarebbe sfigurato nelle strade di una Giamaica e di una Bogotà di altri tempi.

Adesso è definitivamente crollato. Nella speranza di rianimarlo per la sera, ma non ci sarà bisogno perché dovra chiudere un buco nello stomaco.