Il sabato abbiamo deciso di aggregarci a quelli del gruppo perché prevedevano un’escursione culturale e un giro nella parte del sud dell’isola.

Di solito non amo molto gli ammucchiamenti ma questa volta ho fatto un’eccezione. Anche perché girare l’isola è problematico, per cui è meglio andare con una gita organizzata, con il rischio che diventi una sorta di dimostrazione delle pentole. Non è stato così fortunatamente ma poco ci mancava.

Partenza alle 8 dall’albergo. Eravamo molto più numerosi rispetto al giorno precedente, in cui abbiamo utilizzato la funivia.

Ci siamo fermati in un altro resort, il Marriot, una costruzione gigantesca, con viali che sembravano i boulevard di Parigi. Sempre più scioccato per questa totale mancanza di identità dei Vietnamiti… Ma costruire nel loro stile, no? Hanno la sindrome di quelli che ce l’hanno piccolo? Non so…

Comunque, prima tappa, la prigione di cui non voglio parlare perché mi ha messo un’angoscia terribile… C’era pure chi si faceva fotografare davanti al cenotafio. Proprio turisti rincoglioniti! Rispetto tuttavia la gente del posto, ma gli altri assolutamente no.

Per fortuna che l’angoscia si è dissipata in pochisimo tempo. Ci siamo diretti lungo la costa orientale, ancora, grazie a dio, intonsa. Dopo pochi chilometri e raggiunta un’altura modesta, siamo giunti al tempio più importante dell’isola. Non chiedetemi il nome.

Devo dire che era già da subito spettacolare, la pagoda è prospiciente il mare. Questa lunghissima scalinata orlata da dragoni il cui corpo ondeggiante seguiva i gradini. Arrivati nel patio centrale, abbiamo visto il padiglione principale. Un monaco buddista tra una grattata di crapa e un’aria alquanto annoiata a tempi cadenziati batteva il martello sulla campana.

Io osservavo i volti, le espressioni marcate delle divinità. C’era qualcosa davvero di vietnamita in questa arte. Ad esempio le sopraciglia, la forma delle labbra.

Ho proseguito per il secondo padiglione, più raccolto, più ristretto. Dopo le footgrafie di rito, siamo giunti alla mastodontica statua della dea della fertilità o qualcosa del genere. Si trovava nel punto più alto ed era bianchissima, che più bianca non si poteva. Quasi accecante. Io sarei rimasto ben volentieri a meditare, a guardarmi attorno, a scegliere le angolazioni perfette per le foto ma il tempo era tiranno.

Dovevo tenere a bada Mater che non sprecava occasione per intrattenere relazioni social. E finite quelle, sono dovuto andare nel negozio a recuperarla, dopo aver fatto dei selfie con una budda, verde di smeraldo, al quale mi sentivo molto più affine.

Proprio mentre mi sono dilungato nei selfie, giusto cinque minuti, sono stato rimbrottato dai due turisti, antipatici come la carta vetrata passata sul culo. Ho contato fino a un milione per non mandarla a quel paese e ho confidato nel buddino per farmi passare l’incazzatura. Però lei, quella vaccona che non aveva avuto neanche rispetto per le tradizioni, andando in giro con il bichini e il costume giropassera, era veramente cafona come il suo marito, capelli grigiopepe, fisico palestrato, bermudino di jeans che neanche un adoloscente indossa.

Scusate, ho finito la paturnia, ma quelli davvero non li sopporto proprio.

Dopo questa gita, c’è stata l’occasione commerciale… Un giro in una fattoria per la raccolta del pepe, e in una fabbrica di produzione e vendita delle perle. Non ricordo assolutamente nulla. A parte l’omicidio in diretta di una patella da cui hanno estratto ‘sta perla. Mi sono solo trattenuto dal non cridare “assassino” al venditore…

Alle 14 ritorno al resort. Lunga passaeggiata sulla spiaggia, tra i miasmi puzzolenti delle aeree dismesse limitrofe al resort dove ancora la speculazione edilizia non è ancora arrivata.

Alla sera, come avete visto, lo show di Mater…. Quanta pazienza.