Ieri non ho scritto, perché sono schiattato nel letto dopo aver portato Jake nel suo giro cagatorio.

Comunque il quarto giorno qui in Baviera è iniziato con un bel cielo azzurro che purtroppo si è guastato durante la giornata.

Abbiamo lasciato il Chiemsee subito dopo la colazione, diretti verso Schwangau, che potrebbe non dire molto ai più, ma ospita nel suo territorio il famosissimo castello di Neuschwanstein.

165 chilometri macinati tra le curve delle stradine lisce senza una buca, campi verdissimi, collinette, qualche vacca intenta a pascolare placidamente, i cartelli dell’Alpen e della Romantiche Strasse sottotitolati in cinese.

Tutto così noiosamente perfetto da rischiare la sonnolenza improvvisa, ma siamo arrivati. Il castello immobile, dove l’avevo lasciato.

Al parcheggio, lievitato a 8 euro, stica, ci siamo incamminati sul sentiero in mezzo al bosco. La solita salita ormai percorsa diverse volte. Jake aveva il terrore dei cavalli delle carrozze che passavano lasciando scie di merda che Jake annusava.

Questa volta, dopo aver parcheggiato Mater con il felino su una panchina, mi sono portato al MarienBruke, il ponte sospeso dietro il castello dove si possono fare dei selfie strepitosi.

Peccato che avessero contingentato le entrate con un percorso obbligato su due fila, uno all’andata e uno al ritorno, sullo stesso sentiero. Praticamente all’andata dovevi aspettare il tuo turno sull’orlo del precipizio e al ritorno dovevi camminiare spiaccicato contro la montagna e la pancia in dentro per evitare di far cadere qualcun altro.

E poi, sì, è venuto giù il diluvio; per fortuna che ero arrivato al parcheggio appena in tempo. Sotto la pioggia battente, abbiamo attraversato la cittadina di Fussen, sfiorato il paese di Rutten in Austria, e così siamo rientrati in Germania a Schonfeld, per poi varcare definitivamente il confine dell’Austria nel Vorarlberg.

L’idea era quella di passare la serata sulle sponde del lago di Costanza, ma come al solito non ho trovato nulla, se non un albergo in Svizzera, a pochi chilometri da Bregenz.

L’hotel St Pauls non aveva la reception. Era tutto così avveniristico. Un monitor, simile a un bancomat, ti chiedeva le credenziali che ti erano state comunicate, inserivi la data di nascita et voilà, ti sputava due tessere per entrare. Manco dovessi prendere i preservativi o le sigarette.

Sembrava una clinica psichiatrica, le Betulle svizzere, con un bel giardino con piante secolari in una zona industriale, avete presente la Chicco di Grandate? La stessa cosa. Mi aspettavo di vedermi Hermann Hesse o Jung o Freud camminare per i vialetti.

Comunque l’hotel California in vetro, acciaio e cemento, affacciato sul Reno, nel quale potevi affogare nel caso di crisi suicide – non si sa mai -, era un posto affascinante, such a lovely place. Già me la sentivo la canzone, che ronzava nella mia testa. Jake ha cercato di saltare dalla finestra, usando il letto come trampolino di lancio.

Dopo la cena, a base di spaghetti con le cozze – che coraggio Mater con il Reno a pochi chilometri… – al ristorante italiano di Lustenau – un misto tra Rozzangeles e Scampia – , io sono caduto in un lungo oblio di sonno.