Il cielo è sempre bello azzurro e il vento è sempre moderato. Esco di casa e inizio a percorrere la strada che costeggia il profilo nord della Selandia. Non ci sono accessi diretti alla spiaggia. Temo di invadere la proprietà privata di qualche danese. Ogni tanto mi infilo in qualche budello sterrato e arrivo praticamente sul bordo della scogliera. A momenti vado giù. Lascio l’auto lì sul sentiero. Ammiro lo spettacolo e riparto. Mi fermo alla Sunset Beach, dove c’è un parcheggio comodissimo e una stradina di sabbia ti conduce alla spiaggia. Non posso garantire che sia del “tramonto” ma sempre bella e sabbiosa. La linea costiera si perde nell’indefinito. Respiro a pieni polmoni. Se non facesse così freddo, un bagnetto lo avrei anche fatto. Le dune sono coperte da vegetazione tenace e gli alberi tutti storti.

Continuo lungo la strada 237 fino al paesino di Hornbæk. Un porticciolo e anche qui tante spiagge infinite. C’è anche una moltitudine di bambinetti che urlano, gridano, rotolano giù dalle dune. Mi viene un prurito addosso. Qualcuno lo affogherei ben volentieri.

Alle 10, presso la panetteria di un centro commerciale, faccio la colazione. Due plaunerei, uno alla marmellata e uno alla crema. Sono meno buoni di quelli di ieri, e un espresso makkiato. Mi viene il trip di canticchiare la canzone dello svalvolato estone, ma mi trattengo. Evito di ustionarmi la bocca. Riparto, gli alberi contornano le spiagge. In certi punti mi sembra di essere ai Caraibi, talmente chiaro è il mare e accecante la luce.

In lontananza il castello di Elsinore, in mezzo al mare, si staglia come un elegante avamposto verso la Svezia. Non volevo andarci, lo avevo visto nel lontano 2004 ma non avevo nessun ricordo. Così parcheggio e mi vedo questo forte bellissimo. Soddisfatto di essermi fermato e averlo rivisto. Il cielo sfacciatamente azzurro, le bandiere bianche e rosse, il verde intenso dei bastioni. Mi faccio fare una foto, rischiando di rotolare in acqua. Uno mi tende la mano, evitando in extremis il disastro. Riparto cercando di allontanarmi il prima possibile dalla città.

E poi alle tredici vado al castello dell’Ermitage a pochi chilometri da Copenaghen. A dire il vero volevo vedere i cervi, avrei dato qualsiasi cosa. Google street mi fa parcheggiare nell’area sosta di un parco divertimenti che era chiuso, però il parcheggio era a pagamento. Sti marcioni.

Entro dalla porta più lontana ma non me ne rendo conto subito. Inizio a camminare di buona lena. Le distanze non sono percepite come reali. Ma mi accorgo che per arrivare al centro del parco, al Castello dell’Ermitage, ho impiegato quasi due ore. Il parco dei cervi era ancora più a nord. La stanchezza si faceva sentire. Taglio i campi e i prati. Intralcio il gioco di alcuni golfisti che lanciano palline e temo che qualcuna potesse colpirmi. Arrivo al paesello, una sorta di Grazzano Visconti per danesi col cash. Non demordo. La cartina segna il parco ancora poco più in su. Attraverso il laghetto, entro nel bosco, supero una porta e un recinto. Evvai. Sono arrivato. Sento tutta la stanchezza. Il bosco è fitto. Dovrei anche tornare. Sono giù di morale. Di cervi neanche l’ombra. Mi convinco che siano imboscati chissà dove per cui alla fine desisto. Ho percorso tre quarti di parco per la bellezza di cinque chilometri. Pazienza, riluttante percorro la strada del ritorno. Richiudo i cancelli e le staccionate. Me ne farò una ragione.

Improvvisamente li vedo vicino al castello, tutti in branco, come se fossero ad una riunione condominiale, en plein air. Inizio ad agitarmi. Vorrei correre, ma mantengo un po’ di dignità prima che scappino. Armo la macchina fotografica del cannone zoom. I cervi mi guardano, mi tollerano. Poi incominciano ad allontanarsi. Non sono un pericolo per loro ma la vicinanza minima è stata raggiunta. Mi accontento di questi sguardi. Le corna dei cervi sono coperte da una leggera peluria. Ho forte il desiderio di accarezzarle. Mi guardano come se vedessero un pazzo. Io faccio finta di niente, impercettibilmente mi allontano e loro continuano a pasturare nel campo verdissimo. Sono emozionato. Tutta la stanchezza evapora. Ho visto i cervi e li ho fotografati, anche in modo decente. Alcuni addirittura si sono messi in posa.

Li saluto, ritorno al sentiero, schivando le palline da golf che sibilano a pochi centimetri dalle mie orecchie. Vecchiette algasiv, in pantaloni bianchissimi e giacchetta sulle spalle, trascinano la sacca delle mazze. Che carine loro. Io invece cerco di guadagnare terreno e l’uscita. Quel pezzo rimanente mi sembra insormontabile. Tolto il desiderio, rimaneva solo la fatica. Arrivo stremato al parcheggio. Chiedo ad una signorina di farmi una foto. Mi guarda schifata, probabilmente puzzo di sudore. Non crede ai suoi occhi quando mi inginocchio presso la macchina e bacio il terreno. Cerca di mantenere un contegno ma so che vorrebbe gridare. Inutile la mia spiegazione ricordandole la Petty che aveva fatto la stessa cosa quando è tornata dallo spazio. Era già scappata dal parcheggio a velocità supersonica.

Alle 17,30, mi dirigo all’ultimo soggiorno. Avevo scelto una camera vicino all’aeroporto ma sul mare. Booking.com mi dà come unica possibilità un posto a Brondy Strand (con la o tagliata). Purtroppo c’è poco di naturale, siamo al quartiere multietinico, ci sono casermoni e palazzacci.

Il Bashir, barbone e capelli neri, spuzzolente di sudore, dopo avermi fatto aspettare mezz’ora nel giardino di casa, si degna di uscire e mi fa vedere la stanza. Mette il codice, me lo ripete a voce alla velocità della luce. Io sono un cretino e rimango lì come un pesce rosso smemorata. Non faccio in tempo a mettere giù le valige che ho dimenticato il codice. Cerco di ricordarmelo. Dopo tre tentativi, sono bloccato di fuori, come un cretino. Richiamo il Bashir che non mi risponde, busso alla sua porta e non si degna di aprire. Cosa faccio? Dormo in giardino? Ma sai che sei proprio un cretino? Altra mezz’ora nel giardino. Un gatto inizia a miagolare. Mi guarda incuriosito.

Arriva il Bashir con la faccia quasi a dire: “Sei proprio stupido, te l’ho fatto vedere e te l’ho ripetuto”. Sono quasi mortificato. Apro il cellulare e mi segno i numeri 0313#. Alé, sono salvo. Però tu Bashir sei uno stronzo patentato. Potevi mandarmi il codice su Booking.com come hanno fatto tutti i danesi prima di te. Ah, vero, tu sei di un’altra latitudine. Mi sono tenuto questi pensieri dentro di me, prima che mi bruciasse le valigie.

Non ho la forza di stare fuori, eppure sono al mare. Sono completamente distrutto. Non riesco a muovere le gambe. Che faccio? Esco subito prima che mi addormenti in stanza e poi non mangio più.