Il mio grazie ad Angelo Curtoni

Sapevo che mi avrebbe ascoltato e che avrebbe fatto qualcosa per me, senza chiedermi in cambio niente. Uomo semplice e di grande umanità. Lo voglio ricordare con le sue parole scritte per la prefazione del mio libro. Con profonda riconoscenza

Prima (intendo prima che mi capitasse fra le mani questo ponderoso volume) non sapevo nulla di araldica civica: in materia ero un abissale analfabeta.
Infatti quando, durante certe cerimonie ufficiali, vedevo sfilare i gonfaloni dei nostri paesi, li guardavo curioso ma, a mia colpa, con imperdonabile superficialità. Li giudicavo espressioni burocratiche di retorica patriottarda e se li osservavo disposti a ferro di cavallo attorno all’oratore di turno, pensavo fossero i resti d’un antiquato folclore, sopravvissuto alla tecnologia e alla globalizzazione.
A dire il vero, quando alla fine della commemorazione di turno riecheggiavano, in un’atmosfera che si faceva all’improvviso rarefatta, le note del “silenzio”, mi correva un brivido nella schiena perché mi pareva che quei gonfaloni venissero smossi da un invisibile corteo di fantasmi e che i loro stemmi, preziosi di colori e ricami, gridassero all’unisono “presente”.
Ma era un’impressione. Queste cerimonie, mi dicevo, sono fatte apposta per suggestionare gli animi fragili e sentimentali. E ritornavo con i piedi per terra, più scettico e ignorante di prima.
Ho detto: prima. Adesso, dopo aver letto, una per una, le pagine di questo libro, chiedo scusa. Perché quei gonfaloni, invece, erano e sono l’espressione dell’orgoglio di ogni comunità che abbia le radici affondate nella sua storia, grande o piccola che sia. E non orgoglio egoistico ed individualistico ma profonda convinzione di essere un piccolo frammento che ha contribuito, nella sua pur ridotta dimensione, a far migliore il mondo.
Il libro, comunque, per ogni singolo stemma è chiaro, analitico ed esaustivo. Bisogna abituarsi al linguaggio, tecnico e un poco criptico, di questa scienza particolare che è l’araldica. Che si è dotata anche di una serie di regole da cui non si può derogare altrimenti i vari uffici pubblici, creati come filtri alla eccessiva fantasia e alla scarsa scienza, bocciano i progetti. In modo rigido e senza scappatoie. Come una scienza seria pretende.
Però, quando ci si è impadroniti della chiave di lettura, tutta la materia diventa interessante e, direi, per uno spirito culturalmente curioso, affascinante. Merito indubbio dell’autore che, sulle sudate carte, deve avere speso tempo e fatica senza limiti e controlli.
Nelle prime pagine, quelle esplicative del contenuto che segue, si trova un’illuminante citazione dell’antico notaio Marco Cremosano che recita: “… nell’ore più otiose del caldo, per divertire la mente mia dalle continuate sue applicazioni, mi posi già per ricreatione all’impresa di radunare in un volume le imprese e le insegne di molti vari paesi…”
L’autore di questo volume, il dottor Carletto Genovese medico attivo nella sezione comasca del 118, deve aver avuto motivazioni più serie e senz’altro più profonde, altrimenti non si riuscirebbe a giustificare l’immensa fatica, la grande passione e la sterminata applicazione che questo studio araldico ha comportato.
Perché non solo di mera araldica si tratta, ma anche di etimologia e di storia locale. Interessante per chi, come me, si è appassionato all’argomento, ma penso insostituibile per chi guida un comune comasco e ne vuol conoscere le vicende passate, oltre che interpretare, attraverso i pittogrammi (cioè i simboli), gli stemmi che adornano, talvolta da secoli, le facciate degli edifici municipali.
L’autore, all’inizio, ringrazia una serie di persone che l’hanno aiutato nell’impresa.
Il sottoscritto, a nome di tutti i lettori, ringrazia lui per l’arricchimento culturale ricevuto.


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Un commento

  1. Charlie è giunto il momento di cambiare il titolo al tuo blog.
    Che ne pensi di “1.829 metri sotto terra”? mmm qualcuno potrebbe averlo già usato.
    Pensavo ad un “Casus Vita” ossignur non saprei come scriverlo. ciaU

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