Ecco, capiamoci! Io sto li a mettere in mostra la beltade della Centrale Operativa, immortalando i due gioielli più preziosi: la magnificerrima Serena e il suo AW139, obbedientissimo come uno dei cagnolini presenti alla SOREU dell’Open Day.
Sto lì a vagliare tutte le possibiltà su come fare; aspetto che la stampa se ne vada via; attendo che le associazioni di volontariato vadano in mensa a divorare il lauto pasto offerto dal catering della ASST Lariana; vedo soprattutto il mio capo dileguarsi con l’ufficio stampa; spero soltanto che non debbano fare la “gasolina” all’I-Heco: non vorrei trovarmi una pompa infilata in qualche orifizio. Scusate la volgarità, ma dopo aver fatto il corso avanzato sul Trauma, gli orifizi sono mandatori nella formazione di un medico giovane, bello e brillante come me. Scusate la modestia.
Mi guardo a destra e a sinistra.
Sono attento come una lince, per poco non indosso i visori notturni per vedere meglio. Ecco, realizzo in quale posizione mettermi. No, non devo alzare il culo e pisciare come fa il mio gatto.
Piego le ginocchia sperando che i menischi reggano, appoggio le natiche sulla superficie dura della piazzola. Per un momento penso all’Uomo Vitruviano inscritto nel cerchio dipinto sull’asfalto per delimitare l’area di atterraggio. Ma nonostante la mole sono ben al di sotto delle misure della circonferenza di vernice rossa. Per un attimo provo quella sensazione effimera nel sentirsi piccolissimi e magri di fronte all’universo.
La composizione prende forma: la rotondità del muso dell’elicottero come il pancione di una donna incinta viene mostrata nella sua magnificenza. Il giallo e il rosso, che mi fanno ricordare i colori sociali, ops, araldici dello stemma paraculo (sì quello tra guelfi e ghibellini) della città di Bergamo, sono proprio davanti a me. Il cielo quasi azzurro ma non troppo, un po’ timido nei colori per non entrare in competizione con gli altri, mi accarezza. Le pale, che occupano la parte superiore dell’inquaratura, contornano il campo visivo.
E poi c’è lei, la pilotessa!
Questa silhouette slanciata, quasi esile, stupendissima, che si contrappone e bilancia la rotondità accanto.
Sono quasi commosso: con il dito appoggiato sulla Canon, guardo nel mirino. Lei si trova a sinistra, l’AW139 a destra. Non ci sono spazi vuoti. Riesco quasi a calcolare la sezione aurea, quell’1,6 dei grandi costruttori delle cattedrali. Il momento è catartico, sento la vescica piena ma non posso fare la pipì proprio adesso, nemmeno bagnarmi le mutande.
E scatto, impazzito, ebbro di gioia. EVVVAI!!!!!
Ma poi sento un click… un altro, un altro ancora. Mi sento come lo scoiattolo Scrat dell’Era Glaciale, quando vede allontanarsi la sua nocciolina.
Mi crolla il mondo addosso. Con la coda dell’occhio riesco a vedere Alessandro DZ e Alessandro P, i due alessandri, come cassandre o poiane malefiche, che scattano anche loro, senza sosta con un ghigno stampato sulle loro facce. Altro che composizone aurea! Mi sento una massa informe spiaccicata per terra, come il Willy il coyote dopo essere schiacciato dal rullo compressore. Maledetti, mormoro tra me e me.
Sicuro, me la pagherete.
Perché ho deciso di mettere la maglietta bianca? PERCHÈ? Con quei rotolini, anzi Rotoloni Regina, che delimitano la pinguedine, ben evidenziati dal candore del bianco, riflesso dal sole accecante. E penso ai buchi neri, a dire il vero a tutti i buchi dell’universo: sono sempre neri, nei quali l’assenza di colore è una non commistione e orgia dei colori dell’arcobaleno. Guardala la rotondità della mia panza che cozza con il muso dell’elicottero. Due pancioni a confronto. No, peggio ancora, come in uno stereogramma, il crapone, bello rosso, infuocato, su cui puoi cuocere ben volentieri due uova.
Maledetti. Ma dico, io vengo a fare le foto e poi non posso esprimere il mio estro poetico che al confronto quello del Leopardi è un bruscolino.
Cerco di alzarmi, ma ci vorrebbe la gru del Porro per sollevarmi rapidamente. Non so nemmeno se riuscirebbe a reggere il vericello dell’elicottero. E pazienza! Vorrei solo che un fulmine li colpisse, i due alessandri. Che venisse a loro una caghetta fulminante. Ma mi accorgo di non essere nella migliore delle posizioni. Bene, chiudo gli occhi. Tanto la mia foto perfetta l’ho fatta. Cerco di far finta di iente. Mi elevo nello spirito, nel cielo infinito tanta caro al Gregori nella sua Donna Cannone.
Bifolchi, voi che oltraggiate il mio corpo e non vi soffermate sulla mia mente.
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