Finalmente una giornata di sole, certo non quello del mediterraneo, ma un sole che scaldava, che asciugava i prati. Sembrava di essere in primavera, quindici gradi, temperatura di tutto rispetto.

Non avrei scommesso una corona vedendo le nuvolaglie ferme sulla cittadina alle sei di stamattina. Ma dopo aver dormito altre due ore, tutto è cambiato.

Dopo la colazione con pane e nutella, c’era una vetrina piena di torte e di cheese cake ma non erano per noi, uffa, subito pronto per affrontare la giornata.

La montagna che dava verso il mare era lì verdissima, che mi chiamava, incantatrice come una sirena. Il sentiero si inerpicava bello dritto sulla rima della scogliera con una pendenza vertiginosa. Mica mi sono scoraggiato. Passo dopo passo, varcando i cancelli per non far disperdere le pecore, sono salito fino alla prima angolatura. Il sentiero virava verso occidente e la visione della scogliera sottostante era bella evidente. Lo strapiombo di cinquecento metri era proprio sotto i miei piedi. Ma la montagna saliva con una pendenza inversamente proporzionale alla distanza che mancava alla vetta. Io come un mulo, con le pecore che mi osservavano senza smettere di brucare, salivo, salivo. I gabbiani increduli che fossi arrivato in alto fino a lì, continuavano a volteggiarmi attorno per buttarsi a picco sul mare.

Il sole ormai scaldava bene nonostante l’altezza. Ero completamente sudato. Non appena giunto in vetta, mi sono spogliato per rinfrescarmi. Grondavo come un maiale infilzato per la porchettata. Ho cercato un angolino libero dalle cacchine per sdraiarmi e godere del fresco e dell’azzurro.

Intanto messaggiavo col mondo per documentare le mie prodezze. Chi avrebbe mai creduto che ce l’avrei mai fatta?

Una gabbianella, al riparo in una nicchia della vetta, mi guardava incuriosita. Avrà pensato che fossi matto.

Ormai era quasi mezzogiorno, non volevo scendere. Mi attardavo sul cucuzzolo e non riuscivo a saziarmi del paesaggio. Ma dovevo assolutamente ripartire e per scendere se non avessi voluto ruzzolare giù avrei dovuto prestare molta attenzione al sentiero.

Raggiunta l’auto mi sono precipitato lungo l’unica strada ma anche lì mi sono fermato mille volte. Ogni pochi metri il paesaggio cambiava, gli scorci erano incantevoli, l’azzurro impreziosiva tutto e rendeva vivido il colore verde dei prati. Le pecore erano di buon umore, beate, brucavano, si grattavano le corna, alzavano la coda per pisciare e lasciavano ricordini tondi. Io piantavo l’auto nelle innumerevoli rientranze o addirittura la lasciavo in mezzo alla strada, tanto il traffico era proprio nullo. Davvero con il sereno tutto cambiava e io mi attardavo a osservare il cielo, il mare e le montagne.

Ho passato indenne il parcheggio per il sentiero verso la montagna più alta delle Faroe. Non sarei riuscito a reggere un’altra scalata. Mi sono limitato ad osservarla dal basso. Non era poi così imponente, o forse era la mia immaginazione per giustificare la mia poca voglia.

Dovevo raggiungere a tutti i costi la cittadina di Vestmanna, sapevo che stavo perdendo tempo, che mi stavo dilungando troppo ma non riuscivo a fare a meno dello spettacolo che mi offrivano quelle isole.

Sono arrivato a rotta di collo alla cittadina. Ho frenato come un buzzurro nel piazzale del molo, mi sono scaraventato giù dall’auto per fiondarmi all’interno dell’ufficio turistico. La signora mi ha detto che la crociera per vedere le pulcinelle di mare era completamente piena e che non c’era proprio posto. Mi sono sentito così tanto demoralizzato che a momenti volevo insultare la signorina. Ma non era colpa sua. A malincuore me ne sono uscito. Ho girovagato per il piazzale del molo sotto il sole tiepido. Ho finito la scatola di biscottini ricoperti di cioccolato al latte, una barretta di non so cosa con i biscotti Oreo dentro. Per finire mi sono trangugiato mezzo litro di coca Jolly, rigorosamente zero. Ecco, se fossi andato all’escursione non mi sarei ingozzato. Dovevo compensare in qualche modo la delusione. Ero arrabbiato. Mi sono scapicollato per fiordi e montagne, ho ruzzato su strade curvose, schivando mandrie intere di pecore imbesuite per poi non riuscire a partire. Che nervoso.

Sono scappato da lì per ritrovarmi nel paesino di Kvivik, grazioso, piccolino, sul mare, con casettine linde e diverse piante all’interno dei giardini. Giusto il tempo di percorrere la via principale sono tornato finalmente a Torshavn, senza prima fermarmi su una montagnucola scalandola. Avrei dovuto desistere ma invece…