Stromboli è un’isola speciale. Non è solo una meta vacanziera, ma è un posto nel quale sopravvivere, nel quale tutti gli abitanti sono uniti in una grande famiglia.
La vedo, ad esempio, la famiglia matriarcale che gestisce il nostro villagio. Qui il termine non è riferito solo ad un insieme di edifici a scopo turistico, ma è proprio un “vicus”, un luogo di ritrovo, un rione, una piazza, che poi si ritrovino turisti, ben vengano.

Mi alzo per fotografare l’alba, puntuale alle 7 e un quarto. Tutti i paesi delle Eolie sono esposti ad Est per cui è impossibile godersi di un tramonto.

In assenza di quello, rimane l’alba.

Mi getto alla sala ristorante, affamato, sperando di saziarmi, la colazione però era veramente orribile: passi le due fette di torte ma il resto…
Usciti, ci siamo diretti a nord e poi, raggiunta la via principale, ci siamo portati ad est, prendendo la mulattiera per l’osservatorio. Ovviamente di muli neanche l’ombra.

Inizia la salita, il fiato manca dopo i primi tornantini, ma, sorpresa, l’osservatorio non è molto distante.

Ovviamente tutto è chiuso.

E ben poco si poteva vedere da quello che doveva essere un posto privilegiato: un osservatorio, appunto.
Sono salito per altri tornanti, ma per colpa di Mater, che aveva paura della presenza di animali selvaggi – certo il giacuaro maculato dell’Etna – e il timore di infrangere qualche ordinanza del sindaco di Lipari, che ha vietato escursioni oltre i 250 metri, ho rinunciato. Peccato!

Io non riuscivo più a gestirla quella donna, la cui meta ideale è Diano Marina e dintorni, così per non vederla in preda ad una crisi di panico, ho rinunciato sbuffando.

Siamo scesi, fino al rione di Piscità, dove, sulla spiaggia nerissima, mi sono fatto cullare dalle onde del mare.

E così abbiamo raggiunto il centro dove mi sono ingozzato di arancine, belle unte d’olio, ma saporite.

Il resto della giornata è passato oziando tra le rene vicino al porto di Scari, dove delle meduse spiaggiate si squagliavano in informi iridiscenti macchie.

Ma il bello doveva ancora venire.

Alla sera la tragedia sulla barca che ci avrebbe portato al largo per ammirare la sciara di fuoco. Eravamo un gruppo di persone, più eterogenee di così: una sfizzera francesce, fumatrice incallita con la raucedine di 70 anni, mater – e la conoscete bene -, la cinesa e la copia di morosini attaccati l’un all’altro come patelle e poi io.

Invece il capitan Findus era un tuttologo, sapeva tutte le beghe di Stromboli, della sua centrale elettrica – fiore all’occhiello dell’Enel, costruita con fondi europei, e degli amanti dell’isola; infarciva le sue frasi con espressioni sicule abbastanza colorite. Uno scaricatore di porto.

Dopo neanche 10 minuti, Mater ha il mal di mare, contagia la cinesa dietro di lei. Sachetti, vomito, e le onde che ci sballottavano, come se non ci fosse un domani. Tempo di vedere qualche eruzione, che il capitan Findus riaccese la barcarola battendo in ritirata con mio profondo disappunto.

Disastro epocale che verrà ricordato per i prossimi milleni.

Povero Stromboli!