Per fortuna che il Capitan Findus ci aveva promesso e spergiurato che nella data odierna, tutto si sarebbe calmato, l’alta pressione si sarebbe insediata e che tutto sarebbe stato bello con sole.

Invece, nuvoloni, pioggia, per fortuna cessata con il nostro risveglio, e quel vento sferzante, che ti arrivava dritto nel collo.

Nonostante tutto, tra le nuvole, che sostavano sopra la nostra testa fino alla Calabria, si è creata una fessura dalla quale si poteva vedere emergere il sole di una nuova alba.

Almeno una piccola soddisfazione.

Poi, la lotta con i teutonici per la colazione. Facevano una muraglia e tu… ti sentivi impotente, piccolino. Non si schiodavano dall’ingresso dove ordinavi col vassoio in mano. Per fortuna, perché se si fosse consentito il buffet, non avremmo trovato nulla.

Li ho maledetti, uno per uno, caciaroni, gozzoviglianti, con l’indole teutonica, finalmente libera di esprimersi in terra italica.

Intanto mi sono letto tutti i manifesti appesi che raccontavano di quell’impresa epica che è stato il film Stromboli. Epica nel farlo sull’isola, invece cagata pazzesca il film. Poi la Ingrid Bergman, una figa di legno che aveva sotto di sè tutta l’attenzione dei Stromboliani, doveva essere di un’antipatia. Una che scrive una lettera a Rossellini di questo genere (citazione da Wikpedia):

«Caro Signor Rossellini,

ho visto i suoi film Roma città aperta e Paisà e li ho apprezzati moltissimo. Se ha bisogno di un’attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire solo ‘ti amo’, sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei.»

non avrebbe meritato nessun film e se fossi stato in Rossellini l’avrei buttata nel vulcano. Ma la figa… e lei era assolutamente figa.

Dopo una fetta di torta, sono scappato dal quel ginepraio teutonico. Ho fatto un giro in piazza, giusto per guardare per l’ultima volta la terrazza e lo Stromboli che ci sovrastava.

Alle undici in partenza sull’Apecar dell’albergo dopo aver salutato la madonnona che campeggiava nel chiostro principale.

Il traghetto era pronto al pontile di Scari, tempo di caricare le valigie, era già in partenza per Panarea, sulla quale siamo arrivati dopo circa un’ora.

L’isola è bellissima, diciamo quasi mistica. Soprattutto l’albergo La Lisca Bianca: non è solo chic e stupendo, ma ha un qualcosa di magico.

Tempo di un panino al bar del porto (l’unico aperto) e una granta artigianale, ci siamo portati alla spiaggetta alla fine meridionale dell’isola, sulla quale ci siamo sbracati e non ci siamo rialzati più se non per la cena.