Flavia C.


Molto di più di un’amica, di più e più.

Non la dimenticherò mai nonostante il tempo ci abbia allontanato e fatto prendere strade completamente diverse. Di lei non so più niente. L’ultima volta che la vidi fu a Londra, nel 2001. Un incontro fugace, dove abbiamo percorso quel chilometro lungo il Whitehall. E in quella occasione ci separammo per sempre. Lei continuò alla London School of Economics, io proseguii per Trafalgar Square con Marco sottobraccio.

Ricordo il primo incontro, quando, io col motorino, lei in bicicletta, andammo alla SOS di Mozzate.

E così passarono gli anni, quelli miei dell’università a Pavia e quelli suoi tra la scuola di Saronno e il primo anno di Fisica.

Fummo amici, parecchio, ci trovavamo in sintonia (quasi perfetta). Andammo in Polonia passando da Praga, a Vienna, a Budapest, a Nizza, a Barcellona. Ricordo la notte intensa sul treno dell’OBB diretto a Vienna, quando dormimmo quasi abbracciati.

In quella notte sentii tutto il suo amore.

A Istanbul, fu un viaggio breve ma intenso. Ricorderò per sempre il suo timore in un villagio sperso dell’Anatolya, con la neve che scendeva copiosamente, in quell’albergo che ricordava le atmosfere delle “Mille e Una Notte”. Aveva paura di non riuscire a tornare indietro. Ma il suo sguardo, il giorno dopo, con un cielo sereno e perfetto, era di nuovo bello e speranzoso.

Lei era così solare, boccoli biondi, non si arrabbiava mai, cercava di capirmi. Io per lei ero un esempio. Non so come siamo riusciti, ma lei mi scrisse alcune lettere al fermo posta di Mosca di non so quale ufficio, mi scrisse anche quando ero al Cairo, all’Italian Hospital per una clerckship presso l’AinShams University . Le conservo ancora quelle buste che ritrovai, come in un miracolo, nei vai uffici. Il mio nome in caratteri cirillici.

E mi scrisse quando lei fece le sue vacanze a Brighton. Era talmente felice di quella esperienza, che presa dall’euforia, mi scrisse la sua unica e idimenticabile poesia che ricopio.

Poi però decisi di scoperchiare il vaso di Pandora e ci fu il declino della nostra amicizia. I ruoli si invertirono. Chi era la capocciona era lei, io un miseruncolo studente di Medicina. Lei era veramente brava, nonostante quell’anno in cui si era incamponita nel corso di Fisica, senza. Lo abbandonò miseramente perché era veramente duro.

Poi provò con Economia e Commercio e trovò la sua brillantissima strada che non riuscii a seguire perché ormai distanti anni luce. Ma l’aver condiviso un’esperienza all’Università di Lovagno, in Belgio, la stessa in cui lei prese un master, me la fece sentire per un momento vicina.

Complimenti, cara Flavia per la tua carriera, per i figli, per tutto, per ogni cosa. Tu ti sei realizzata, io, invece… Un abbraccio forte forte.