Ieri sera per vedere il tramonto ho scelto la spiaggia di fronte al mio bungalow. Almeno non avevo il peso oppressivo dei resorts alle mie spalle e se anche piccolissima, era la più autentica, senza quelle palme che Aruba non ha mai avuto e che la rendono così filo americana, una Miami in piccolissimo.

Oggi come ultimo giorno, ho scelto delle destinazioni sparse, giusto per vedere le ultime cose. Mi mancava sicuramente la sosta alla chiesa Alto Vista, che si trova sempre a nord, in un territorio incastrato tra il faro e l’Ayo Rock Parque. Certo non più che una cappellina su un’altopiano ma con un panorama invidiabile. C’era gente in preghiera e due cani dormienti sui gradini, nei quali potevi inciamparci, tanto non si sarebbero mossi per nessuna ragione al mondo.

Ho passeggiato poi in quel parco dove non mancavano i cactus. Sono arrivato in prossimità della spiaggia e sono tornato indietro. Così per le 11 sono tornato a Oranjestad. A dire il vero volevo andare a vedere di nuovo San Nicolas che mi era piaciuto tantissimo, ma un’altra visita della città dovevo farla prima di partire. Questa volta non sono arrivato dall’autostrada principale ma da una via interna per cui ho visto una periferia interessante, lasciata andare, trascurata, senza il piglio turistico che la rende più bella. Sono arrivato in una grandissima piazza, la Juan E. Irausquin Plein, attorno alla quale in senso orario, lasciando le poste sulla sinistra, c’è la Telecom di Aruba, un collegio universitario, l’Università di Aruba, un convento, la cattedrale di San Francesco d’Assisi, e altre case e negozi, di cui uno di “carneceria”. Mi sono fiondato subito nell’università. Sono stati tutti gentili e mi hanno fatto entrare. Ero un po’ timoroso, in realtà mi hanno accolto con gentilezza e mi hanno fatto fare un giro all’interno dei giardini e dei patii che la compongono. Ok, non una cosa gigantesca, tutto molto mini, le aule sono all’interno di bungalow in mezzo al giardino principale. Mi è piaciuto il clima rilassato, quasi informale. Ho visto dei prof. in calzoncini. Non li biasimo con il caldo che faceva, però era buffo. Nell’aula magna c’era una sessione plenaria di tesi e i neolaureati si facevano fare la foto davanti al pannello ufficiale dell’università.

Mi sono trovato proprio bene nei giardini rigogliosissimi e pieni di fiori, proprio come le nostre università molto austere. A mezzogiorno mi sono portato in centro. Avrei voluto andarci a piedi ma le temperature non lo permettevano. Non ci sarei arrivato integro. Così sono stato in giro per la parte orientale di Oranjestad alla ricerca di un parcheggio. Ho potuto vedere una città un po’ più dismessa, i palazzi poco curati e con evidenti screpolature nell’intonaco. Arrivando da ovest invece si vede una città molto più curata e più da turista, forse perché vi attraccano le navi da crociera. Comunque non mi dispiaceva conoscere quella città, un po’ dismessa, autentica, meravigliosa, sicuramente testimone di un passato glorioso.

Quelle case coloniali che erano restaurate, avevano colori così sgargianti che si stagliavano in perfetto contrasto col cielo azzurrissimo. Davvero molto bello. Ho percorso anche la main street, una via Dante, che non mi ha entusiasmato, solo perché pieno di negozi, e soprattutto per il calore atroce. Finito il corso principale, sono scappato, alla ricerca dell’auto. Peccato che mi fossi confuso tra la Wihelminastraat dove avevo parcheggiato e la Nieuwstraat, una strada parallela. Sta di fatto che ho vagato per 4/5 isolati alla ricerca dell’auto perduta. Ero distrutto dal caldo. Era il sole del mezzogiorno, quello terribile, senza possibilità di rinfresco. Nonostante in questa peregrinazione di uno zombie, sono riuscito a scorgere bellissimi murales, tra cui la scritta della città, Oranjestad e il coat of arms di Aruba.

Raggiunta a fatica l’auto, con quei pochi riferimenti che avevo, ormai sono vecchio e rinco, non ho più la baldanza di una volta dove mi mettevi in una città, anche senza cartina, riuscivo a capire dove mi trovassi, sono scappato dalla città. Destinazione mare, ma sì, dovevo buttarmi nel fresco. Ho scelto quella bellissima spiaggia, proprio accanto all’aeroporto e mi sono risposato. A dire il vero ho ronfato sotto le invitanti frasche di un divi verdissimo, dopo aver fatto il bagno. Cosa potevo volere di più. Alle 3,30, con sforzo disumano, mi sono ricomposto e mi sono vestito per la civiltà. Mi sono tolto il costume senza troppi problemi, mi sono cambiato, ho messo i pantaloni lunghi, atrocità e mi sono fiondato nel gelo della Yundai. Tempo di fare benzina, e noi che ci lamentiamo di quei miseruncoli due euri, lì a 5 euro, il doppio. Stica… E ho consegnato l’auto, mooolto più sporca, alla renter. Con un pezzo di plastica che pendeva sotto nella parte anteriore dell’auto. Ma non era problema mio. Era tutto apposto. E via in aeroporto.