Le intenzioni (solo quelle) di Mater erano buone. Eravamo rimasti d’accordo che avremmo lasciato Medugorie alle 9 per andare a Mostar. Sì, proprio così. A mezzogiorno e mezza ho dovuto impormi per strapparla dall’attrazione magnetica del paesello altrimenti, sicurissimo, saremmo stati tutto il giorno qui.

Iniziamo con mezza ascesa verso il monte della Croce. Faceva freddo, eravamo i soli temerari svegli in giro alle 8. Dopo due stazioni della Via Crucis Mater ha rinunciato al percorso perché c’era vento e non se la sentiva di procedere tra le rocce acuminate. A due malcapitate signore di Genova, anche loro venute in auto, Mater ha chiesto tutta la storia di questo posto, visto che il sottoscritto non sapeva nulla. Ne è nata una lunga conversazione ai piedi della lastra di bronzo della seconda stazione. Ma puoi? Intanto Jake, liberato dallo zaino, snasava a destra e a sinistra cacciandosi in tutti i pertugi…

Tutta infervorata dalle notizie di Wikipedia, siamo andati al presunto luogo delle apparizioni, che banalmente ieri avevamo cileccato e che era proprio dietro una chiesa. Altra sosta, altro rosario, altro tour dei negozietti. E visto che tutti parlavano italiano, si è lanciata da sola senza dovermi interpellare.

Alle 11, non vuoi fare un giro nella chiesa principale? Ma Mater, dovevamo partire alle 9! Non c’è stato verso. Arriviamo in chiesa. Strano c’era la messa, come fai a non ascoltarla? Avevo le scalmane… Ma potevi dirle di no? E poi vai ad accendere le candele e poi vai ancora nei negozi del centro, belli scintillanti, pieno di madonnone et alias.

Aaaaaargh! Mater!

Al mio grido, si è resa conto che aveva abusato della mia pazienza e si era presa abbondantemente il tempo preventivato. Alle 12.30, finalmente, credo di aver sgommato uscendo dal parcheggio, ci dirigiamo verso Mostar. La campagna rurale si riappropria del paesaggio e lasciamo dietro di noi tutta una scia di capannoni. Il viaggio verso Mostar è breve, curvoso, la strada percorre le alture delle montagnicole. Alla fine ce la troviamo ai nostri piedi, all’interno di una conca. Capisco quanto possa essere stato bersaglio di uno scontro sanguinoso. Si iniziano a vedere le bandiere gialle e blu della Bosnia e Erzegovina. Medugorie de facto è un enclave croata. Non a caso è partita la pulizia etnica delle forze croate. Arriviamo agevolmente al ponte. Dai vialoni, si penetra piano piano nell’area del centro storico. Un bosniaco ci chiede ben 20 BAM, 10 euro, per un parcheggio. Non faccio storie. Mi sono infilato io nel budello e il ponte era proprio a due passi. Ho dovuto esibire tutta la mia abilità nell’infilare l’auto in quel centimetroquadro a disposizione.

Non riuscivo a scendere. Il corpulento parcheggiatore (abusivo) con tanto di catenazza al collo, si tocca la pancia e mi sorride. Io lo guardo: non è la pancia è il culo che non passa. Scoraggiato, riposiziono l’auto allargandomi di due centimetri, di modo tale che anche il mio panettone posteriore potesse uscire.

Mostar, il centro storico, un gioiello, era proprio a due passi. Il ventaccio ci ha subito perseguitati. Non era un refolo ma una specie di bora che ci spingeva indietro. Jake era tutto spaventato all’interno dello zaino. Siamo sul ponte, grandissimo, con i marmi lucidi, Mater fa fatica a camminare, scivola. È tutta intabarrata con foulard. Penso alla storia recente, praticamente quando mi sono laureato. Ricordo il giorno in cui era stato annunciato al mondo intero la distruzione del ponte. Provo emozione camminare tra i vicoli di pietra… Evito con cura di vedere il museo del genocidio. Non ce la farei. Percorriamo la via principale. Ci buttiamo all’interno di un locale, elegante, puzzolentissimo di fumo, una specie di Vago, tra le poltrone vellutate e le tende damascate… Mater addenta un kebab e se lo spazzola in pochissimo. Ho chiesto se potevo liberare la bestiaccia dallo zaino, un cretino antipaticissimo, ha espresso il suo disappunto pensando che uscisse un leone. E va beh…

Passiamo tutto il pomeriggio tra le rive del fiume Narenta, di un colore azzurro turchese, in piena, che scorre con vigore. E pensare da noi che i fiumi ormai non ci sono più… Ho percorso i vialetti lastricati, pieni di negozietti per la gioia di Mater. Una pazza bosniaca a momenti mi sviene davanti a Jake, inizia a iperventilare, a guaire. Lo prende in braccio, con disappunto di Jake. Imprime bacetti col suo rossetto arancione fluo… Non vuole più distaccarsi… Me lo riprendo con forza e saluto la babbiona… Adesso si metterà a piangere, lo so…

Ormai quasi al tramonto, ripresa l’auto, seguiamo un ansa del fiume, percorrendo il lato lungo dell’aeroporto, arriviamo in una gola idilliaca. Una casa proprio sulla riva, il fiume che fuoriesce da una grotta. Giuro che non avrei mai voluto uscire dal quel posto, nonostante il vento e il freddo.