Inizia il rientro, anche perché Mater deve andare al mare con le amiche e la Cantushire mi richiama prepotente… Così dopo l’ultima serata a Medugorie, dove Mater ha salutato alcuni fedeli, scambiandosi baci bacetti abbracci coroncine del rosario, sulla piazza della chiesa, siamo partiti per il rientro.

Primo dilemma esistenziale per me. Passare dalla Croazia o dalla Bosnia e Erzegovina? Stare sul mare e seguire tutta la costa dalmata oppure rinunciarvi? Vedere Zagabria, vista nel 1994, oppure lasciarla sepolta nei ricordi di ben 30 anni successivi?

Un vero dilemma perché mi interessavano entrambe le cose in maniera uguale… Poi, secondo problema: andare sul sicuro e prendere quella noiosissima autostrada ma guadagnare tempo e arrivare a Zagabria in 4 ore oppure sfidare l’ignoto e addentrarsi per le stradine della Bosnia?

Voi cosa pensate abbia fatto?

Giusto, ho tagliato completamente la BIH da Sud a Nord, pensando di fare la furbata di guadagnarmi almeno quei duecento chilometri. Della mia scelta ovviamente me ne sono pentito amaramente nel bel mezzo del cammino…

Lasciamo Medugorie, e puntiamo subito verso Nord. La strada tortuosa scorre via velocemente. Non c’è traffico e le strade sono belle asfaltate e larghe. I capannoni e le zone industriali lasciano posto a un paesaggio brullo, secco. Impercettibilmente saliamo, saliamo senza sforzi. A Posusje facciamo benzina. Un refolo di aria gelida mi colpisce il volto. Col benzinaio cerchiamo di capire che benzina fare… Il bancomat non funziona, prendo la carta di credito ma non mi ricordo il pin. Insomma, tra imprecazioni in russo e in italiano, ripartiamo col serbatoio pieno.

Incomincia a nevischiare, lieve lieve, dei fiocchetti invisibili ma completamente gelati. Le alture sono lievemente imbiancate. Proseguiamo, il bianco è sempre più evidente, la neve viene spazzata sull’asfalto da refoli che sbuffano prepotentemente. Tra Tomislavgrad e Krupes la strada è francamente bagnata. La temperatura scende sensibilmente. Si arrivano ai -5 gradi. Nel punto più alto c’è un tratto di strada completamente coperto da una lastra di neve completamente ghiacciata, estremamente insidiosissima. Sul passo un tir è intraversato, forse ha urtato l’altro tir posto di traverso. La polizia con la bindella prende misure. Lo spalaneve mi sporca completamente l’auto. Non so cosa fare, prendo il coraggio, mi metto in mezzo alla carreggiata, sfioro di un millimetro la macchina della polizia. È letteralmente tutto bianco. Credo che la polizia adesso mi arresti, ma nessuno presta attenzione alle mie manovre azzardate. Per un momento, sento l’auto slittare. Ok, penso alla mia fine, bloccato sulle montagne della Bosnia, perso come un soldato durante le campagne di Russia. Già mi vedo la lapide. Qui perirono due cretini italiani che osarono sfidare le forze del male russe. Avanzo di pochi centimetri, lentissimamente, trattengo il respiro. Arrivo al tunnel, mi sento lievemente sicuro. Subito dopo il tunnel la strada è priva di neve ma precipita a valle. Da una parte tiro un sospiro di sollievo ma non mi sento sicuro. Mi rincuora vedere la strada larga e curve non strette. Ingrano la prima e mi getto nel taboga. I tir dietro di me mi sorpassano allegramente, non badano alla mia disperazione. Finalmente sono giù, entro in un lunghissimo territorio boschivo, le strade finalmente sono praticabili senza pericolo.

Beh, ce l’abbiamo fatta, almeno per questo tratto.

Arriviamo a Banjia Luka, la capitale della Repubblica Serba della Bosnia. Che cose complicate, la guerra ha portato delle soluzioni assolutamente precarie e assurde. Non siamo più in Bosnia, ma in Serbia ma non la Serbia quella accanto, ufficiale. Le bandiere sono sostanzialmente russe, i cartelli stradali passano dal giallo al blu. Arriviamo in questo paese, cittadona che si stempera poco dopo. Non ha un nucleo storico. Anzi arriviamo in centro senza sapere di essere lì. Cerchiamo parcheggio. Un’ora 5 BAM, 2.5 euri. Abbiamo solo una banconota da 20 BAM. Chiediamo da cambiare a un signore, che esasperato dalle nostre richieste in italiano di cui non ha capito niente, torna in auto, prende una moneta da 5 marchi e la infila nel parchimetro. Ci offre il tagliando e non vuole niente in cambio. Neanche una moneta da due euro. Ed è tutto un “spassiba”, non so, ma speravo che fosse la parola giusta e la comprendesse. Ci sorride e si dilegua. Banja Luka è orrenda (spero di non offendere il giovanissimo sindaco), una Mosca periferica, con una piazza centrale enorme dove sorge la cattedrale. La via principale scorre accanto. La percorriamo. Mi sembra di passeggiare lungo l’Arbat, il viale di Mosca, una specie di Via Dante di Milano. Russia, completamente. Nulla da vedere. Dopo poco rilasciamo Jake nei giardini della cattedrale. Una cornacchia offesissima inizia a gracchiare, Jake fa dei versacci… Si inseguono, si guardano e si studiano. Non si mollano.

Riprendiamo l’auto e corriamo dritti verso l’unica autostrada che porta al confine con la Croazia. Me li divoro quei chilometri dopo la via crucis patita nei chilometri precedenti. Arriviamo al confine, una Gaggiolo dismessa, tir sparsi tra le corsie. In dogana, un poliziotto che stava dormendo nel gabbiotto, mi dice che no, per la Croatia dovevo uscire a Gradiska. Faccio inversione ad Usull’autostrada, sotto la supervisione del poliziotto che continua a sbracciarsi.

Esco a Gradiska, ma di cartelli zero alla quota, neanche in cirillico. Così dopo diversi tentativi, richieste evase dai poliziotti, arriviamo all’unico confine con la Croatia. Un ponte della Becca di verde arruginito sul fiume Sava. Tir incolonnati, dovevi districarti, invadere l’altra corsia, misurare al millimetro gli spazi, ignorare completamente le regole stradali… In dogana un’ora. L’Europa era oltre il ponte e per arrivarci sembrava che dovessimo passare chissà cosa. La poliziotta ci mette pure il timbro sul passaporto. Sono sconvolto, ma almeno siamo nel mondo, prende internet, posso usare google maps e correre come un pazzo.

Arriviamo a Zagabria alle 17, e io dall’alto della mia saggezza, rinuncio. Già mi viene male attraversare la periferia, il sole è ancora velato, prima di arrivare in centro, trovare parcheggio, così avrei visto. Niente, punto l’auto verso l’albergo, sulle colline tra la Croatia e la Slovenia, dove tutto è verde, placido, sembra una cartolina delle Langhe. E ammiro quel poco di tramonto…