Finalmente sono arrivato alla Land’s End il punto più occidentale dell’Inghilterra, non del regno Unito, perché alcune isole della Scozia sono ancor più ad Ovest.

La Land’s End è un posto che ha un grosso significato per me. Già dal 1996, sapevo dove si trovasse e per tutta la vita è rimasto un desiderio vederla. Sono passati tanti anni, venti viaggi nel Regno Unito e mai ero riuscito a portare a termine questo mio proposito.

Nel 2004, benché fossi ormai vicinissimo, ho dovuto rinunciare proprio a pochi chilometri. Nel frattempo ho visto invece l’altro punto, quello più ad Est, ma mai questo. Ho scelto in questi cinque giorni premio (perché ho fatto il bravo bambino, facendo pure turni a Menaggio) per andarci. Che poi sia morta nel frattempo la Mother Queen, è un piccolo dettaglio.

Non sto a spiegare perché è così importante, ma per farvi capire, mi viene in mente la canzone di Guccini (pensate a quale livello sono arrivato!) “La ragazza portoghese”, dove questa bambina davanti al mare di Lisbona guarda verso l’indefinito. Guccini canta queste parole stupende: O sogni o visioni, qualcosa la prese e si mise a pensare Sentì che era un punto al limite di un continente Sentì che era un niente l’Atlantico immenso di fronte…

E oggi ero proprio al limite di un continente con l’atlantico davanti. Mai però avrei immaginato di vedere la Land’s End con un cielo insperatamente azzurro. Non ho neanche pagato il biglietto e il parcheggio (se ne sarebbero andate via come niente almeno 30 sterline). Sono arrivato prestissimo, alle 9, perché dovevo aspettare la colazione, che qui hanno deciso farla fare alle 8.30. Ma puoi? Ho ingollato uno yogurt, una mezza galletta di plastica e una tazza piena piena di tè.

Lungo il tragitto, quei 20 chilometri, ho sentito la radio. Chi avesse avuto almeno mezzo desiderio di suicidarsi, avrebbe trovato riscontro nel mood che veniva trasmesso dalle emittenti. Roba da tagliarsi le vene, della serie: Like a Bridge over troubled water, Nothing compares to you, I’ll be missing you, Total Eclipse of my Heart e tutta una serie di canzoni dal tema sfigato. Veramente molto pericoloso. Roba da trangugiare almeno un flaconcino di aloperidolo.

Ero felice alla Land’s End. I delfini mi aspettavano, i negozi erano chiusi, la piccola gardaland sigillata. Non c’era nessuno così ho incominciato a percorrere i sentieri lungo la costa. Il sole era caldo, il mare verdeazzuro si infrangeva sulle falesie. Non potevo che essere soddisfatto. Ho fatto una lunghissima camminata, di almeno cinque chilometri, arrivando al minuscolo paesello di Sennem Cove, dove poi mi sono spiaggiato, assaporando l’odore pungente di salsedine e il clima mite. Sono tornato poi dalla strada principale, risalendo la scogliera, sudando come un cavallo e respirando con la lingua di fuori come un cane…

Ormai era pomeriggio, ho deciso dunque di vedere l’altro paesello di Saint Ives. Sono arrivato attraverso una stradina piena di curve e strette. Ho avuto il patema d’animo, mi continuavo a fermare per lasciare passare le auto. Non avevo molto occhio e speranze di passarci. La città all’inizio l’ho schifata. Era un po’ più disordinata, un po’ meno bomboniera rispetto a Mariazon. Ho dovuto parcheggiare su una collina ad almeno tre chilometri dal centro, proprio accanto al campo di Rugby. Anche questa volta non ho pagato niente di parcheggio.

Scendo giù, lungo la strada principale, con una pendenza da ammazzare le ginocchia. Se fossi rotolato probabilmente, avrei fatto prima. C’era gente, tanta. Clima vacanziero, negozi e tanti ristoranti. Sarei scappato molto volentieri, ma mi sono fatto forza e ci sono rimasto. Mi sono lasciato conquistare dal porto che nel frattempo si stava svuotando dell’acqua per la bassa marea. Non ho resistito: mi sono tolto le scarpe e le calze e ho iniziato a camminare sulla battigia. In quel momento, lontano dalla folla, tra le barche sbilenche, circondato dai gabbiani, ho avuto la folgorazione. Ad un tratto ho pensato che Saint Ives fosse davvero bella, certo, un po’ trasandata, ma circondata dal mare su tre lati con spiagge favolose. Solo allora, coi piedi a mollo, ho pensato di trovarmi in posto incantato. Non ho più sentito la folla rumorosa, mi sono infilato nel borgo antico, tra vicoli di pietra, con le case addossate le une sulle altre. Mi sono portato da una spiaggia all’altra. Il cielo era incerto ma poi il sole ha preso di nuovo il sopravvento e ha avvolto la città di una luce calda e dorata… Ecco, sarei rimasto lì tutta la sera, aspettando il tramonto ma avevo il terrore della stradina del ritorno. Volevo percorrerla con la luce, visto che avevo fatto una fatica incredibile all’andata, chissà come sarebbe stata nel buio più totale…

Arrancando su per la collina, recitando i rosari e imprecando le maledizioni peggiori, dopo un’ora, sudato da far schifo, sono riuscito a raggiungere l’auto. Con una fatica enorme, peggio dell’andata, sono riuscito ad arrivare a Penzance, il sole infuocato bruciava il cielo dietro alle mie spalle.