Ho prenotato a Corralejo, una Rimini per ora sonnolenta in questo inverno delle Canarie. Sono vicino al porto da dove domani il traghetto salperà per Lanzarote. Ieri sono arrivato alle 19.30, dopo aver sbrigato in aeroporto le pratiche per la rent a car. Sostanzialmente ho interagito con un totem e con le dovute cautele, ma soprattutto dopo aver inserito la carta di debito, il totem mi ha letteralmente sputato le chiavi della 500 che sono cadute a terra. Ho impiegato un’ora a cercare l’auto nel parcheggio.

E dopo aver affrontato la circonvallazione di Puerto del Rosario (adesso capisco l’appellativo Rosario), all’ora improvvida delle 19, sono riuscito ad arrivare in albergo. Era compresa la cena. Mi hanno accolto nel ristorante la “Platanera” come un mendicante che bussa alla porta dell’Ostello della Divina Provvidenza o all’Ozanam.

Era previsto che prendessi un antipasto, o un primo o un secondo. Bene.

L’antipasto era una crocchetta, una, sola come la particella di sodio nella bottiglia dell’acqua Lete. Ho fatto fatica a cercarla e l’ho mangiata come se fosse chissà cosa. Talmente inconsistente da mettere in dubbio che l’abbia mangiata per davvero.

Il primo una forchettata di tagliatelle con tonno crudo, tomato, prezzemolo e pistacchio. Insomma forse ero accecato dalla fame ma non mi pare di aver mangiato tutto questo.

E infine come dolce, uno stronzetto di mousse di cioccolato. Agli altri veniva tutto bell’impiattato e servito con quintalate di crema. A me solo questo bastoncino, che aveva pure una forma dubbia…

Chissà stasera! Comunque la mia recensione sarà ben negativa.

Oggi, dopo colazione, mi sono portato a sud dell’isola. Primo inghippo. La tangenziale di Corralejo era completamente bloccata da una moltitudine di ragazzetti che si erano dati appuntamento allo stadio. E per superarlo, la Polizia Locale con flemma, ha bloccato la circolazione di mezza isola. Altro rosario… Ma dopo essere uscito dalla tangenziale e dalla conurbazione della città, mi sono ritrovato nel deserto. Mi sono tolto immediatamente dalla autopista e mi sono perso nelle stradine che correvano in mezzo alla lava ma niente off roads. Tutte strade perfettamente asfaltate. Il vento era fastidioso. Arrivo al faro di Toston, sai quelli belli, idilliaci, con le fasce rosse e bianche. Ho cercato di fare del mio meglio per evitare di essere travolto dalle folate di vento.

Seguo la dorsale montuosa, evitando accuratamente centri abitati e fermandomi nei punti più panoramici. Scelgo con cura le stradine di campagna, mi allontano sempre di più dall’autopista. Trovo un’isola rurale, selvaggia, non ancora costruita. Vecchi mulini a vento, la sabbia che sale come dei mulinelli. Mi sembra di essere in una Spagna remota, quella del Don Quichotte, in una Murcia sconosciuta, dove le balle di fieno rotolano. Mi aspetto di incontrare Willy il Coyote intento a preparare qualche maldestro piano per catturare Beep Beep, il pennuto antipaticissimo. Mi sento calato nella canzone dei Depeche Mode Peronal Jesus. La Spagna che non ti aspetti. Sono piacevolmente sorpreso. Evito di fermarmi in alcuni paesini, seppure bellissimi, ma strapieni di turisti. Immensi pullman vomitano vecchiettini sulla strada. Io li schivo all’ultimo minuto. Un po’ mi dispiace non fermarmi, ma davvero non voglio incontrare nessuno.

Salgo sulle alture, guardo la desolazione del paesaggio e le pieghe brulle delle montagne. In alcuni momenti ho la sensazione di vivere nel deserto del Neghev in Israele, in altre credo di trovarmi a Masada. Macino chilometri, sfido le raffiche di vento, le tempeste di sabbia. Il cielo diventa sempre più sereno, il sole scalda. La dorsale l’ho percorsa tutta. Mi trovo nella parte più stretta dell’isola. Ne approfitto per vedere i due mari, quello orientale e quello occidentale. Nella prima spiaggia ci sono strutture turistiche, è la Costa Calma. Mi irritano gli alberghi, invero pochi ma a sufficienza per farmi sentire a disagio. Entro nella Despar. Mi prendo un panino, una cocacola alla ciliegia e mi porto nell’altra spiaggia. Decisamente wild, con il vento che sferza le onde e le rocce. Mi avventuro sulle scogliere. Mi accolgono degli scoiattolini che mi accompagnano per tutto il percorso. Intanto sbriciolo il panino e loro mi seguono fedeli. Ammiro la costa aspra, appuntita, le insenature di sabbia nera e le montagnucole spelacchiate e ossidate di rosso.

Alle 16, mi costringo a prendere l’autovia e ripercorro in un battibaleno tutta l’isola. Evito accuratamente la città Puerto del Rosario, ho già dato, e alle cinque, mi lascio andare tra le dune di sabbia di Corralejo. Spettacolo, mi perdo, letteralmente. Ma non mi interessa sapere dove ho lasciato l’auto. Sono interessato alle geometrie della sabbia, create dal vento. Aspetto il tramonto, ingoio quintali di sabbia ma non mi decido a lasciar quel posto.

Il mio deserto, un altro. Piccolissimo questo, ma estremamente affascinante. Dopo un’ora ritrovo l’auto a oltre un chilometro dove pensavo di averla lasciata. Ma chi se ne frega…