Dopo essere sbarcati a Mamoudzou, ci siamo portati al Bed senza Breakfast. Ho trovato subito l’indirizzo con la mia dacia sandero scassatissima, ma il proprietario non c’era. Eh sì che mi ero assicurato con un’email, su sua richiesta, che sapesse a che ora arrivavamo e con che volo saremmo atterrati a Mayotte. Magari in un francese non impeccabile, ma sicuramente chiarissimo. E senza traduttore.

Alle 3 puntuali eravamo davanti al cancello di ingresso ma nulla del mister idiota. Provo a chiamarlo una volta, due ma avevo sbagliato il prefisso internazionale di Mayotte che non è quello francese. Lo chiamo via whatsapp, internet è a singhiozzi, mi fa dire se siamo in aeroporto o alla camera. Glielo ripeto per dieci volte. Ma lui, tonto. Allora arrivo, mi dia 45′ minuti. Le imprecazioni si alzano. Alle cinque ancora nessuno e noi come deficienti nella zona industriale, per fortuna deserta, di Kaweni, aspettando il mongoloide. Una persona dovevi aspettare in vita tua, è questo il tuo lavoro, oltre agli altri dieci mila. Passa la Polizia Municipale davanti al nostro cancello. Mi sbraccio, a momenti mi stirano sotto.

Vomito a loro tutta la mia acredine e impazienza per sto deficiente che dopo due ore non si era ancora presentato. Faccio leggere il carteggio epistolare, i messaggini. Mater sta per eruttare. Proprio mentre sono davanti a noi, arriva l’Afrika Rim-Bambaataa dei poveri. Dissimula un sorriso, batte un cinque alla polizia. Coda tra le gambe. Io con francese che mi dovevano premiare per la recita all’Academié, lo mando a quel paese. Scusi, ho capito male. Male? MA DOVE? Un corno. Glielo urlo. Sei un cretino. Avion de Kenya Airways en provenance de Nairobi et à trois heures de l’après-midi devant la chambre d’hôtes. Ma te ne strafotti. E avrei continuato… a Mater viene la crisi isterica. Piange davanti alla polizia. Mi zittisco immediatamente. Sa il mongolo di aver fatto la peggior figura della sua vita mayottiana, e che due clienti italiani non hanno meno dignità del suo menefreghismo.

Il Tupac tamarro dei poveri si prodiga in scuse, si dilunga sul nostro soggiorno, ci dà le chiavi, ci assicura di essere a nostra completa disposizione. Quanti calci che gli avrei dato e l’avrei sbattuto fuori casa ben volentieri. Mi interessava consolare Mater. Le dico: “Vedrai domani sarà tutto diverso e ti piacerà”. Non la convinco molto ma alla fine l’appartamento le piace e riesce ad essere tranquilla. Un piatto di spiedini di pesce spada come cena le riporta la tranquillità.

Il monsone e la serenata di un gattaccio incattivito con tutto il vicinato della zona industriale ci svegliano stamattina. Tempo di prenderci l’acquazzone, uno scroscio bello convinto ma che si è consumato in realtà in poco più di mezzora, che c’era il sole. Facciamo colazione al Bennet di Keweni, compriamo un paio di sandali nuovi per me che gli altri erano disintegrati e siamo in centro con un cielo splendente. E il sole è bello raggiante sopra le nostre capocce.

Mater, dopo le due ore di ieri, sembra un’altra persona. È convinta finalmente di questa Africa, di questa precarietà, di questa isola non ancora domata dallo spirito francese… Anzi si lancia per il centro di Mamoudzou, che si stempera nel giro di pochi metri. Non è una città strutturata, non c’è un centro, un viale di negozi. Ci sta provando ma sarà un percorso lungo. Fino a quando ci sarà l’immigrazione incontrollata, Mayotte non riuscirà a strutturarsi autonomamente, come è successo nelle altre isole di Mauritius e di Reunion.

Mater è di buon umore, gira il mercato, entra nelle favelas che sono un tutt’uno con la città e non si scoraggia. Anzi. Non riusciamo a trovare la chiesa aperta e nonostante la Caritas francese accanto, non c’è un prete. Sarebbe stato molto gradito.

Così decidiamo all’una di andare alla ricerca di una spiaggia. La troviamo a sud, non lontanissimo dalla capitale. Ospita anche un minihotelbungalowpalafitte dignitoso ed elegante. Mater si addenta una baguette lunga quasi un metro avec le jambon ed è felice. Si rilassa e cammina sulla spiaggia come una bambina, all’ombra di baobab giganteschi…

Ecco, ci volevano due ore, quelle iniziali. O entri nella “mahorità” africana o scappi. Il tempo giusto sono proprio due ore. Mater sapevo che sarebbe riuscita con nonchalance ad entrare… E il cielo e il mare azzurri l’hanno premiata.