Dopo essere stati centrifugati per benino per colpa del sacro fuoco del Capitano Achab, siamo scesi dalla barchetta barcollando. Abbiamo deciso di farci fare una foto in ricordo di questo giorno così speciale, bagnaticcio e degno di un viaggio di Donnavventura. Mater decide di scofanarsi un panino al jambon una volta sul lungo mare, in un baretto. È rimasto con lo stomaco vuoto e un tasso alcolemico elevato per tutto il giro in giostra.

C’era un cielo sereno, il sole caldo ma piacevole, stava tramontando sul promontorio di Mamouzoud. Proprio bello. Sarebbe stato carino elevarci per osservare il tramonto dietro la montagnola. Ma dovevo a Mater un momento suo, visto che era l’ultima sera. Con molto rammarico l’ho portata al Centro Commerciale Jumbo dove abbiamo preso da mangiare per la cena. E poi, visto che c’era un negozietto di souvenir (l’unico che ho visto in tutta l’isola), l’ho fatta entrare per i suoi regalini da portare.

Lo so, mi stavo perdendo l’ultimo tramonto, forse uno tra i più belli di tutto il viaggio, vista la luce radente, calda e gialla. Mi sono detto che era giusto così, che lei rimanesse in un posto pulito, che la soddisfacesse e che potesse calmarsi dopo il trambusto sulla barchetta.

Alle cinque di stamattina, Mater era già bella, sveglia e pimpante. Inutile ricordarle che l’aereo sarebbe stato nel primo pomeriggio, alle 14. No, ha iniziato a trascinare le valigie dalla mia stanza alla zona giorno. In dormiveglia sentivo il suo ciabattare nervo, zip che si aprivano e che si chiudevano, fruscii dei vestiti piegati, il ronzio del motore della tapparella, il rumore delle antine aperte e chiuse.

Alle 6, non ce l’ho fatta più e mio malgrado mi sono alzato. Tempo sereno, con cielo e nuvole abbastanza innocue. Ho guardato dal mio terrazzino il cortile, o meglio l’ingresso del capannone. Uno si fa ottomila chilometri per trovarsi a Grandate! E va beh, capita…

Mando molto poco volentieri un messaggio al proprietario, avrei preferito non scrivergli niente ma un minimo di gentilezza… Un messaggio asciutto nel quale lo informavo che avrei lasciato la chambre in ordine alle 7 e che avrei messo le chiavi nel cassetto della posta come da sue indicazioni. E via, nella bolgia infernale del traffico di Mamoudzou. Ho schivato quella decina di motorini spericolati che scavalcavano il cordolo di mezzeria della carreggiata se la distanza tra loro e la mia auto era meno di 10 cm. Ho frenato di colpo per evitare di investire quelle mila donne che attraversano la strada senza guardare e senza che da parte loro si percepisse una minima preoccupazione nell’essere travolte.

Questa volta faccio il bravo, vado alla biglietteria e prendo il titolo di viaggio per la mia vetturina sul traghetto. Insomma per ben tre volte l’ho fatta franca e non volevo passare per il pezzente italiano che non vuole pagare. Ci incastriamo nella chiatta negli angusti spazi tra tiri e montacarichi e miliardi di persone assiepate in giro.

Ho l’ansia, altro che esercizio zen. Arriviamo sulla Piccola Terra. Sembra che il più sia fatto. Uno sforzo immane. Ovviamente il delirio di auto in pochi chilometri quadri. Andiamo al centro di Dzaoudzi, molto polveroso. Parcheggiamo proprio davanti al Municipio e decidiamo di fare un giretto in questa confusionaria cittadina poco più grande di Lecco. Stanno potando gli alberi, ovviamente i rami e le foglie ci cadono addosso, uno griglia mila cosce di pollo sulla carbonella, alcuni giocano non so a cosa sui tavolini traballanti in mezzo alla strada, tra le buche, un gruppo folto di persone fa la fila davanti alla posta, la prima boulangerie è completamente vuota. Sembra che siano passate le cavallette. Mi sento disorientato. Non ho la forza e la memoria di ricordarmi dove avevamo fatto la colazione una settimana prima. Era un esercizio troppo incasinato per me… Così, per fortuna, mi aiuta google maps. Trovo non solo una boulangerie ma addirittura una patisserie, poco dopo la posta. Il servizio è quello che è, ma diciamo che è un piccolo Sartori, con tanto di terrazzino da cui poter respirare a pieni polmoni lo scarico dei gas delle auto. Però sono soddisfatto della mia colazione.

Volevo poi vedere il Museo di Mayotte, la prefettura, gli edifici coloniali edificati nel primo nucleo coloniale situato sulla Rocca Rocher. Il museo era chiuso, un buco di parcheggio manco a pagarlo, nemmeno se tiravi indentro la pancia. Un giro, un altro giro, un altro giro ancora e poi ci ho rinunciato. Mi porto all’Ufficio Turistico di Petite Terre, guardo i manifesti, le informazioni agli scaffali. Ho il grande desiderio di girarmi e di gridare che la Petite Terre fa schifo, che è un letamaio senza confini, che i musei sono chiusi, che non ci sono le buche ma le voragini ma mi trattengo. E diamine che cosa ci vuole a tenere in ordine un piccolo gioiello grande uno sputo. Vorrei insultarli… Ma… Decido di andare al punto panoramico, una montagnola che guarda tutta la pista dell’aeroporto. Ma dopo due svolte, la strada diventa peggio di un tratturro bombardato. Mater incomincia la crisi isterica. Io apro le cateratte e litigata di brutto garantita. Avevo rinunciato pure di andare alla spiaggia, quella bellissima della tartaruga per evitare che le venisse il patema, no… Ma è possibile? Rinuncio a tutto, facendo fatica a trattenermi, mi porto all’aeroporto per ben 4 ore prima… Mater è la madonna piangente e addolorata… Lascio l’auto alla Europecar. Scopro perché non mi hanno inviato il contratto del noleggio. Nella mia email avevano messo l’estensione YT quella di Mayotte, anziché IT. Ecco, sono veramente idioti ma ho sorvolato.

Sono arrivato in un prato pulitissimo e verde sotto un bersò, proprio accanto all’entrata principale dell’aeroporto e mi sono calmato, guardano una donna mahoriana con il volto dipinto di giallo che preparava placida una collana di petali di fiori… La sua calma, i suoi movimenti ripetitivi e uguali mi hanno finalmente rigenerato. Tempo di vedere il volo della Kenya Airways planare nella pista, mi accingo alle procedure del volo di rientro in un aeroporto finalmente vuoto e pulito…

Lascio la Mayotte volando sulla laguna verde turchese e in poco tempo sono risucchiato dalle nuvole.