Ho scelto Porsgrunn per diverse semplici ragioni: perché era vicina a Oslo, era sul mare e soprattutto perché non c’erano alberghi liberi in tutta, ripeto TUTTA, la Norvegia meridionale. Mi sono dovuto accontentare di una Guest House, che era affascinante, certo ma…

Il proprietario mi raggiunge dopo averlo esortato al telefono, di farsi vedere nell’Ostello. Ci troviamo davanti all’indirizzo della Guest House ma non scende. Incomincia una lunga presentazione, sgradita da parte mia, ma lui non molla la presa. Da dove vieni? Beh, lo dovresti sapere perché hai tutti i miei dati e pure la carta di credito. Ma che ci fai in Norvegia? Relax, solo per tre giorni, il minimo che mi è concesso. Ma adesso dove vai? Mah… credo al lago e poi a mangiare. Ti piace pescare? No, non me ne frega di meno. Ma lo sai che ora i pesci saltano fuori dall’acqua perché è calda e si rinfrescano al contatto dell’aria fredda. Cool, ma mi faresti vedere la camera? E dopo un quarto d’ora di convenevoli, io sul marciapiede, lui sulla sua Ford con lo sguardo concupiscente, scende dall’auto. Tipica scena di Pretty Woman. Mi sembrafa di essere la Julia Roberts che contratta il prezzo con Richard Gere sul marciapiede di Sunset Bulevard.

Diciamo pure che non era un vichingo di cui uno nell’immaginario pensa ai norvegesi. E poi aveva quei due incisivi sul davanti che spuntavano all’infuori. Che nervi. Glieli avrei spaccati volentieri, povero idiota.

Mi rende edotto di tutte le password -gli asterischi non si contano- della porta esterna, della pulsantiera interna, della camera. Ci mancava pure la password per il cesso.

La guest house, pur affascinante, sembrava la casa degli Addams. Vecchi rincoglioniti che sputacchiavano bellamente dalla mirabolante terrazza, operai tristi dell’ANAS, che a momenti non stavano in piedi e negri che volevano rifilarmi la ganja. E poi aleggiava un odore… Va bene cinquanta euri, non ero poi così disperato perché avrei dormito pure in auto, ma a tutto c’è un limite. C’era pure una scala a chiocciola dalla quale temevo di ruzzolare giù. La pedata era non più larga di 5 cm, l’alzata di 20 cm. La stanza un loculo di due metri per due e mezzo. Solo un letto e un televisore appiccicato sul legno del sottotetto.

Ho dormito con gli incubi, rigorosamente vestito, mi faceva schifo tutto. Per la doccia, mi sono lavato alla ben e meglio, trenta secondi giusto per non puzzare e via, via, fuori all’aria aperta.

Il paese di Porsgrunn mi sembrava una Rimini dismessa, con palazzine nuovissime tutte vetro e acciaio, prospicienti il fiordo. Per fortuna c’era qualche ristorante aperto. Alle 21,30, mi hanno letteralmente sbattuto di fuori. Ovviamente con tutte le gentilezze del caso. E mi dico: come si fa a mangiare il merluzzo con la pancetta. AIUUUUTO.

Ma fa niente. Stamattina, sono scappato a gambe levate, come un ladro. Sono arrivato all’altra cittadina di Skien, paese natale di Ibsen. Una chiesa gigantesca, ma proprio gigantesca, e il paese arrampicato sulla collinetta. Ho preso un cappuccio doppio e una fetta di torta al cioccolato per la bellezza di 140 NOK. Stica. Ecco a voi il compito ingrato di fare il cambio. Ahaahahaha.

E poi lentissimamente, dopo essermi fermato a un laghetto idilliaco, il Galtetjonn, uguale a quegli altri centomila, e al Rubensplass, un bivacco per ripararsi dal freddo nei mesi invernali, mi porto verso Oslo dove rimango imbottigliato sotto il tunnel della città per più di un’ora. L’urlo, a proposito, non era di Munchen ma il mio. Esasperato, nelle viscere della città… E finalmente sono giunto al Gardermoen… con una fatica impressionante.