L’ultimo giorno qui in Oman è stato solo di viaggio. Una tirata unica Salallah – Muscat – Malpensa. Però ho visto l’ultima alba: per pigrizia non ero riuscito a vedere il sorgere del sole, forse perché albeggiava troppo presto.

Questa mattina Mater aveva la sfregola, alle 7 era già pronta con le valigie chiuse e doveva andare a fare colazione. Io intanto, mi ero perso tra la piscina, le palme e la spiaggia. D’altronde quando mai tornerò in Oman? Ho indugiato sulla spiaggia, assaporando il caldo e l’aria pura.

Poi, ho dovuto affrontare la dura realtà. Colazione e bagagli alla reception, per fortuna che ce li hanno caricati sulla buggy car. Un tassista ci ha poi portati all’aeroporto che era completamente vuoto. In cinque minuti abbiamo sbrigato le formalità necessarie. Mater ha speso tutti i rial omaniti nel duty free shop e io ho dovuto sopportarla sia nella scelta dei souvenir sia nella lingua in inglese. Il primo volo è stato corto, ha sorvolato tutto la costa del sud per poi tagliare nel bel mezzo delle montagne fino ad arrivare a Muscat.

Abbiamo attraccato al finger accanto a quello dove c’era l’aereo per Milano, bastava uscire da una porta e rientrare in quella successiva. Potete vedere il percorso nell’immagine dell’aeroporto che ho riprodotto. In questo transfer che poteva essere immediato, ho litigato di brutto con la polizia omanita. Premesso che avevamo meno 20′ di tempo per imbarcarci. L’addetto aeroportuale ci ha detto che il volo per Milano aveva emesso l’ultima chiamata prima della chiusura del gate. Vai di corsa da un punto all’altro dell’aeroporto. Al controllo passaporti abbiamo beccato quello più lento. Ovviamente davanti a noi una famiglia completa di non so quanti pupi a sufficienza per un intero asilo. Poi ci hanno controllato le valigie al metal detector.

Tragedia: il mio zaino deve essere ispezionato a mano. Glielo apro platealmente e dico in italiano: che cosa pensava di trovarci dentro, cretino? Questo preso a male, permalosissimo, intuendo il mio disappunto, chiama il buzzurro del suo superiore. Inizia a farmi un pippone infinito che gli omaniti sono bravi, che il controllo deve essere accurato, che il teleobiettivo era oversized. Inutile spiegargli che siamo arrivati da Salallah, ridente città dell’Oman, controllati dalla stessa polizia omanita con la stessa divisa. Che a Malpensa sono più avanti, perché non ti fanno togliere il computer. Niente. Ribadisce che dobbiamo accettare le regole. Per dispetto vuole che ripassi lo zaino, il computer e il teleobiettivo in vaschette separate di nuovo sotto i raggi x, con pieno disappunto del militare che aveva appena controllato. Hanno iniziato a borbottare tra di loro. Il buzzurro non ha voluto sentire ragioni. Io a quel punto serissimo, l’ho guardato dritto a due dita dal suo naso e in perfetto inglese oxfordiano, gli ho detto: senta io non ho alcun problema che lei mi faccia perdere l’aereo, tanto pagate voi (e nel frattempo già pensavo alla chiamata al mio capo che gli dicevo che ero ancora in Oman!). Ma vede quella donna (che nel frattempo aveva già iniziato a carognare)? She is 83, she is senior, and I won’t let you miss her the plane, because she’s my mom, and she could be the mom of all of us. It’s two sharp and airplane will leave as soon. Respect for her. A quel punto il truzzo ha sbuffato, si è girato e mi ha lasciato andare. Ha capito di essere andato oltre. Va bene il pippone ma ripassare un’altra volta lo zaino vuoto sotto il metal detector era una cattiveria gratuita. ll primo poliziotto che aveva innescato il tutto, si è inchinato, mi ha chiuso lo zaino e io mi sono voltato per lo scatto dei duecento metri in 5 minuti netti.

Arriviamo al finger giusto, saliamo sull’aereo accaldati, sbuffanti, sudoranti e ci chiudono l’aereo. Ma possibile che tutte le volte devo arrivare sempre all’ultimo? Faccio sloggiare la cinesa che nel frattempo aveva occupato i nostri posti, in realtà il posto era suo ma la mia mente era in corto circuito; alla fine, intimorita e impietosita dal nostro stato, ci ha lasciato il posto vicino al finestrino e lei si è spostata lato corridoio, tazzando red wine con la sua amica come se non ci fosse un domani.

E così alle 14.10 l’aereo si è staccato dal finger per rullare fino alla pista, fino a quando alle 14.20 è decollato in direzione Nord e io vedevo l’Oman scivolare, uno stato che probabilmente non vedrò mai più. Il resto del volo invece è stato tranquillo. Ho visto ancora una delle due palme di Dubai e ho riconosciuto il monte Ararat in Turchia, sulla cima della quale si è incagliata la nave di Noè e poi sono scivolato in un sonno lungo fino alla Malpensa.