Oggi da soli, senza gruppo. Ho preferito vedere il nord che ancora mi mancava. Quel nord sconosciuto e a quanto pare ancora selvaggio.

Dopo essere riusciti ad aprire la cassaforte perché Mater l’aveva bloccata, dopo una consulenza veloce veloce per una che aveva febbre, e dopo la colazione con brioche che fanno rimpiangere quelle del Sartori, abbiamo preso il taxi.

Dicono che sia comodo e poco costoso qui il taxi. In realtà non è proprio così. Certo, i prezzi non sono minimamente paragonabili a quelli italiani, ma non essendoci un servizio pubblico, forse sarebbe opportuno calmierare i prezzi rendendoli più accettabili. In fondo oggi, tra tutti i taxi, abbiamo speso circa 40 euro. Metà pieno in auto, con il quale potevi girarti tutta l’isola.

E poi rischi la pelle e non è uno scherzo. Salire su un’auto è un atto di fede. Qui a Phu Quoc non esistono regole. Chi guida segue il flusso. Nessuno vuole gareggiare o fare lo sborone. Basta semplicemente dire a tutti della propria esistenza a colpi di clacson e via. Non ci si ferma agli stop, anzi non ce ne sono proprio. Si può entrare contromano nelle carreggiate a due corsie, si può sorpassare a destra o a sinistra, invadere la corsia opposta. Nessuno si scandalizza. Io esisto nel marasma di utenti motorizzati o automatizzati e ti immetti nella strada.

Qualche incidentino, sicuramente, ma è poca roba.

Dunque, col patema d’animo ci siamo fatti tutta la strada all’interno del massiccio montuoso dell’isola. Solita sciatteria ma con cose estremamente pittoriche e puntigliosamente inutili: la forma delle piante che fungono da sepratore delle corsie è così meticolosamente lavorata da creare dei bonsai e non vi è foglia fuori posto. Però accanto ci trovi il cumolo di immondizia.

Bah!

La spiaggia delle stelle di mare è stata una sorpresa. Una bellissima sorpresa. Ambiente sostanzialmente selvaggio, pseudo ristoranti galleggianti, passerelle di legno assolutamente instabili e altalene o amache a perdita d’occhio.

Il tutto così piacevolmente disordinato.

L’acqua era sorprendentemente limpida e trasparente. Le stelle marine giacevano sonnolente e avevi paura di spiaccicarle. Ma era un bellissimo spettacolo. Davvero perfetto.

A mezzogiorno siamo tornati indietro, facendo sosta a Duong Dong, la capitale. Ho dato l’indirizzo della chiesa cattolica e mi hanno guardato malissimo. Secondo me non sapevano nemmeno che ci fosse. In effetti quando siamo arrivati, la chiesa, enormissima, era intonsa, lustra, non una crepa sui muri. Probabilmente l’avevano appena costruita. Edificio perfettino ma chiuso. Ovviamente il presepe terribile e la madonnona con il bambino.

Mater finalmente si è messa il cuore in pace. Sulla strada siamo stati raggiunti da un gruppo di vacche che placidamente transumavano in mezzo alla strada. Anche loro senza regole, senza padrone, libere e felici nei miasmi puzzolenti della città.

A Duong Dong, al solito night market, accompagnati da un taxi driver che aveva tutta la fisionomia di un Keanus River, mater ha fatto spesa comprando una quantità imprecisata di ricordini. Io ero disperato. Il ragazzo del negozio era solo felice e le teneva testa. Siamo stati due ore. Io scleravo, tra mezze traduzioni di italiano, inglese, e vietnamita grazie a google translator.

All’alba delle quatro, finalmente, in tempo per godersi di nuovo, l’ennesimo tramonto, siamo giunti al Resort.