Peperoni Difficili

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Nei giorni scorsi io e Tiziana siamo andati al Franco Parenti per assistere alla presentazione teatrale Peperoni Difficili. Era il mio regalo per il suo compleanno.

Avevo sentito parlarne alla radio ma di fatto non sapevo che cosa avrei visto. Una piacevole sorpresa, un piccolo capolavoro, tante risate ma anche lacrime e un senso di pesantezza in epigastrio.

Perché il testo di Rosario Lisma è tutto fuorché leggero e ti si attorciglia nelle budella proprio come se si avesse un peso dopo aver ingerito i peperoni cucinati alla difficile maniera, secondo una ricetta africana.

L’intimità del teatro, l’afflato dei soli quattro protagonisti, il respiro all’unisono degli spettatori, seduti a gomito a gomito, la naturalezza delle scene, senza effetti speciali, con il prete Giovanni, alias Rosario, lo stesso autore regista e attore principale, dormiente prima ancora dell’inizio sulla poltrona nello stage minimalista, hanno contributo a rendere unica questa pièce teatrale.

Il tema, elemento più importante, prima ancora della trama, è la Verità, dal greco aletheia (???????), intesa come un qualcosa privo di ombra, un qualcosa che è quello che è.

Tutto inizia quando la sorella del prete, Maria, arriva nella cucina della canonica, reduce dalla missione per un grave problema politico. Attorno a lei ruotano i fratelli, Filippo,  imbolsito, tutto impegnato a crogiolarsi nel dolore per la lontananza della ex-moglie, l’altro, Paolo, lo spastico, raffinato intellettuale, che vive una vita del tutto normale.

Collante tra queste tre personalità complementari e profondamente diverse è il prete, a volte ingenuo, a volte astuto, altre raffinato. Si prende cura di tutti a suo modo e protegge gli inquilini della cucina dalla VERITÀ’: evita che il bidello ciccione, allenatore della AS Santa Lucia, si deprima più di quanto non lo sia già; cerca di giustificare le brutture viste dalla sorella in missione in Africa; accoglie lo spastico come una proiezione di sé evitando che si veda un malato.

Nonostante gli sforzi, vengono al pettine i nodi di una conflittualità non ancora sopita. L’occasione è la cena a base, appunto, di peperoni, preparata dalla sorella. Ognuno nei propri pensieri dà il via a una discussione dialettica, scomodando addirittura Tommaso D’Aquino e Sant’Agostino di Ippona.  Si arriva al libero arbitrio contrapposto alla creazione.

Ma non si risolvono i problemi.

Anzi, si acuiscono: la sorella è sempre più dilaniata dalle brutte sensazioni di dolore vissute in Africa, il fratello scopre che la moglie se la intende con il portiere della squadra che allena e l’altro fratello, attirato dall’avvenenza di Maria, la desidera a tal punto da baciarla.

La Verità chiede di essere conosciuta.

Nello scoramento generale, Gianni, dopo una notte da incubo, in cui confessa a se stesso di essere solo e di desiderare che qualcuno si prenda cura di lui, prende in mano la situazione e offre a tutti un contrappeso per bilanciare la pesantezza della Verità.

A turno, nelle relative confessioni, alla sorella offre il bellissimo passo sull’amore scritto nel libro dei Corinzi. Al fratello allenatore la forza di lasciare andare la ex-moglie, indicata finalmente per quello che è, una stronza, al suo destino. Solo al fratello spastico invece non viene contrapposta la verità, anzi è  nascosta perché è l’unico che deve essere più tutelato e protetto. Non a caso il teatro finisce con un amplesso amicale, proprio quando gli altri due, superando il proprio disagio, chi ripartendo per la missione, chi rinunciando alla boccettina di profumo della ex-moglie, iniziano a guardare il futuro.

Di Verità si tratta, e non una discussione sull’amore. Perché amore non è verità, anzi, spesso, è menzogna, delusione, affanno, lotta per il completamento.  E Rosario lo sa perfettamente ma preferisce non sporcarsi e allontanare da sé le proprie debolezze, e i peccatucci di invidia nei confronti della sorella, una superstar in confronto.

La Verità paradossalmente è taciuta a se stessa, proprio quando gli altri la vedono. Se Anna deve superare le ferite con l’amore, Filippo dimenticare la moglie per il bene del figlio, Paolo si vede respinto proprio nel climax del desiderio amoroso non corrisposto per onestà intellettuale innalzata dalla figa missionaria! Bella stronza, aggiungerei io.

Ma la menzogna del prete per amore empatico, l’agapé (?????), o forse anche eros (????), ripaga di tutto e io mi concilio con me stesso. Un grande teatro dunque. Chi volesse venire con me per sabato sarebbe l’ultima occasione per vederlo. Mi piacerebbe portare le persone alle quali ho manifestato il mio bene. Ma ovviamente la Verità chiede di essere conosciuta.


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