Ufficialmente, la mia casa

home

Era il febbraio di quest’anno quando un conoscente me la fece vedere. Nonostante il freddo, la casa era bella, ampia, spaziosa, soprattutto nel verde e quasi indipendente.

Non appena varcai la porta, decisi che sarebbe stata mia. Non sono stato lì a fare calcoli precisi; avrei dovuto perché, anche se il costo era accessibile, bisognava mettere in conto tutti quegli extra per il completamento, le tasse e tutta una serie infinita di spese non meglio definita. Ma in quel momento avevo deciso col cuore. Al diavolo la razionalità! Se non avessi fatto questo passo ora, non l’avrei mai più fatto.

Così nel bel mezzo di uno sconquassamento a livello personale (di cui a tempo debito ne parlerò, altroché se ne parlerò, ma per ora è meglio stare zitti per non stuzzicare isterie non salutari) da una parte e dall’altra con la consapevolezza che prima o poi dovrò prendere in seria considerazione le problematiche senili dei miei genitori, mi sono gettato a capofitto, tuffandomi senza troppo pensarci.

Aperte la porta e le imposte di un verde scuro mi sono detto che quei muri avrebbero confinato la mia vita futura. L’ho vista sotto un cielo plumbeo ma nei mesi successivi sarebbe stato così bello e sereno quasi che l’universo concordasse con la mia scelta.

Mi dissi, tutto d’un fiato, che l’avrei presa, firmando il compromesso e stabilendo la data del rogito poco dopo, alla fine di aprile. Un assegno di 60 mila euro e via, era mia per sempre. Il notaio avrebbe suggellato l’accordo con una serie lunga di pagine firmate in ogni angolo e pinzate da graffette. Giornate memorabili e perfettamente serene tra piazza Duomo, la Banca Popolare di Vicenza in piazza Cavour (sì proprio la stessa con cui ho avuto a che fare nel mio passato pavese, come se fosse un segno del destino…), il lungo lago e le vie del centro.

Ho iniziato a rimboccarmi le maniche cercando di fare tutto quello che c’era da fare sebbene non fossi portato: trovare le persone, farsi preparare i preventivi, formalizzare i documenti necessari per la Comunicazione Inizio Lavori. Ho rischiato di mandare in frantumi, possiamo dire con un termine generico, l’amicizia della stessa persona che mi aveva dato la possibilità di iniziare questa avventura.

Mi sono scontrato con la burocrazia delle amministrazioni pubbliche, delle ditte. Alla faccia della crisi, sembrava che a nessuno interessasse quella casa. Ma sono stato ostinato, ho rotto le palle, ho fatto stalking per una causa giusta perché le persone iniziassero i lavori che sono proceduti con una lentezza esasperante. Prima l’intonacatura, la posa dei tubi per il riscaldamento a pavimento, i massetti, la caldaia, le finestre, le piastrelle e, infine, l’impianto elettrico (iniziato con tanta buona volontà nel tirare i fili da una scatola all’altra).

Ho lasciato scorrere il tempo in silenzio, fremendo, aspettando i tempi stra-dilatati di tutti. Così, ora, sono qui in questa nuova casa, finita, pronta per essere abitata. Sono rimasto nell’intimità e nel buio delle stanze. Ho cercato un posto dove riporre la bottiglietta di coca-cola con all’interno un bigliettino apotropaico.

Ho snasato l’intonaco per sentirne l’odore e percepire qualcosa di ancestrale. Ho appoggiato le ginocchia sul ruvido del cemento, infilandomi nei recessi più oscuri della casa: tutto di quella abitazione doveva appartenermi. Mi sono seduto sul cesso (l’unico posto per stare seduti) e immobile mi sono immerso nei miei pensieri. Ho accarezzato ogni singola piastrella per sentirne il freddo lucido del bianco satinato. Ho guardato, ipnotizzato, le fughe dei listoni pesantissimi di gres-porcellanato; ho salito e disceso le scale infinite volte, dalla mansarda al piano terra, dalla cucina al piano interrato. Ho lisciato le travi del sottotetto, graffiandomi con la resina essiccata e con le chiazze di malta indurita.

Mi sono soffermato con lo sguardo sulla facciata della chiesa di Breccia, proprio di fronte, a un chilometro d’aria. Ecco il mio mondo, tra la casa vecchia e la nuova, allineate lungo una retta. Non ho smesso di guardare quella ventina di pini delineanti il perimetro esterno dell’impianto sportivo ospitante la squadra di rugby: mi salutano con le loro punte alte diritte piantate nel cielo.

Ho posato lo sguardo lungo il contorno orientale della Spina Verde interrotto dal profilo tozzo del Castello del Baradello, immaginando la ritirata disperata del Barbarossa dopo aver bussato alle porte del Contado Milanese.

Ho cercato di fare lavori di manovalanza (che brutta parola: manco fosse un atto erotico), alla faccia di chi credeva non fossi capace. Il Mocho Vileda è stato passato più volte sui tre pavimenti lucidando e togliendo la polvere e le macchie del cemento. Ho passato e ripassato le superfici con spugne e stracci imbevuti di Lisoform, non necessario, per disinfettare: quella casa sarebbe stata mia in tutto e per tutto.

Chi l’aveva sporcata a vario titolo doveva sparire e non lasciare nemmeno un alone di ricordo. Ho pensato alla disposizione dei libri, dei miei tremila libri, e di quel passato costruito sulla carta, sulla storia e su amori ormai sopiti. Mi sono lavato con la tempera per pitturare le pareti: dopo alcuni goccioloni precipitati a causa della gravità, al centro del mio occhio sinistro, elevando litanie degne di una prece fremente per un miracolo, ho deciso di farmi aiutare chiedendo a chi era più competente.

Ho annusato la tenue fragranza di una persona che era lì a sistemare la casa. Mi sono messo a gironzolargli attorno, cercando di instaurare un legame che, seppur effimero, ti fa andare avanti di quelle caselline che compongono il percorso della vita. Ovviamente sarà tutto d’archiviare.

Mi sono sdraiato sul pavimento marrone, color diarrea (eppure c’è chi lo pensa grigio, mentre io non posso fare a meno di assimilarlo ai legni grezzi di certi pavimenti delle case islandesi: è il motivo per cui ho scelto questo tipo di piastrelle) per essere inglobato in questi basamenti. E a proposito di merda, in alcune occasioni ho pure concimato il giardino ben nascosto dagli arbusti di gramigna.

Ci saranno ancora mille cose da fare, mille pensieri da formulare perché questa casa possa essere mia, esclusivamente mia. Dovrò ancora pensare a come parcheggiare l’auto nel garage senza cercare di ammazzarmi. Sceglierò i mobili e la disposizione dei manufatti perché tutto possa avere una giusta collocazione. Scriverò sul cartongesso il mio nome così potrà essere coperto dalla tempera del Bravin (chi è del campo lo conosce). Allineerò i pulsanti delle deviate lungo lo stesso verso, aprirò e chiuderò lo sportellino dei termostati per impostare quel parametro difficile da tarare secondo le nostre esigenze che è la temperatura. Allineerò le scatole della Kis, rigorosamente taglia large, contenenti i frammenti di questi lunghi anni di vita. Mi siederò sul marmo, all’angolo del pilastrello, per far riposare le gambe e sentire il gelo del marmo lungo i glutei. Cercherò di costruire un pertugio perché il gatto possa entrare e uscire a suo piacimento. Realizzerò un angolo con due poltrone perché ci si possa ritrovare in intimità senza necessariamente schiantarsi sul letto. E pregherò perché in questa casa possa realizzarsi uno dei motivi più importanti della mia vita.

Questa casa segnerà la fine dei viaggi, inaugurerà il periodo della senescenza, della stanzialità.

Basta ardori e fughe, mai più triangolazioni ai vertici del globo, non condividerò le mie cose personali con altre. Non darò più in mano la mia vita perché possa essere distrutta soltanto per capriccio. Sarà il cenotafio di storie antiche, di preghiere remote e ospiterà le mie preghiere nei giusti spazi, nelle dimensionalità opportune. La guarderò come se si posasse lo sguardo sull’amante per la prima volta. Non sarò più in compagnia di nessuno perché la gente a volte sa essere bastarda e può distruggerti la vita.

La casa, questa casa, saprà difendermi dalle paure e dalle angosce e cercherò i recessi migliori per sentirmi felice e finalmente in pace con me stesso.

Rain on Your Parade – Duffy

I wish you well, I hope you survive
I hope you live, oh baby, so I can watch you cry
Cause I know in time you’ll see what you did to me
And you’ll come running back
I’m gonna rain on your parade, no, I won’t take it again
And I’ll keep raining, raining, raining over you
I’m gonna rain on your parade, no, I won’t take it again
And I’ll keep raining, raining, raining over you
I pity the fools who believe in you
Cause I know someday now they’ll see your colors too
And if you see a smile besides my face, no, I’m doing good now
Since you’ve been erased
Cause I know in time you’ll see what you did to me
And you’ll come running back
I’m gonna rain on your parade, no, I won’t take it again
And I’ll keep raining, raining, raining over you
I’m gonna rain on your parade, no, I won’t take it again
And I’ll keep raining, raining, raining over you
I’m gonna rain on you
I’m gonna rain on you
I’m gonna rain on youI’m gonna rain on your parade, no, I won’t take it again
And I’ll keep raining, raining, raining over you
I’m gonna rain on your parade, no, I won’t take it again
And I’ll keep raining, raining, raining over you
I’m gonna rain on your parade, no, I won’t take it again
And I’ll keep raining, raining, raining over you


I wish you well, I hope you survive
I hope you live, oh baby, so I can watch you cry
Cause I know in time you’ll see what you did to me
And you’ll come running back
I’m gonna rain on your parade, no, I won’t take it again
And I’ll keep raining, raining, raining over you
I’m gonna rain on your parade, no, I won’t take it again
And I’ll keep raining, raining, raining over you
I pity the fools who believe in you
Cause I know someday now they’ll see your colors too
And if you see a smile besides my face, no, I’m doing good now
Since you’ve been erased
Cause I know in time you’ll see what you did to me
And you’ll come running back
I’m gonna rain on your parade, no, I won’t take it again
And I’ll keep raining, raining, raining over you
I’m gonna rain on your parade, no, I won’t take it again
And I’ll keep raining, raining, raining over you
I’m gonna rain on you
I’m gonna rain on you
I’m gonna rain on you
I’m gonna rain on your parade, no, I won’t take it again
And I’ll keep raining, raining, raining over you
I’m gonna rain on your parade, no, I won’t take it again
And I’ll keep raining, raining, raining over you
I’m gonna rain on your parade, no, I won’t take it again
And I’ll keep raining, raining, raining over you

Articoli simili

Lascia un commento