La storia ci seppellirà e di noi non rimarrà che un ricordo

Lo stemma di Limido Comasco non è intellegibile, non è immediato come quello dei paesi limitrofi in cui compaiono castelli, spade, stelle, il cui significato si svela ad una semplice osservazione dello scudo.

I bastoni gigliati posti in decusse su fondo di rosso sono un segno della famiglia Torriani, la cui giurisdizione si estendeva nel paese. Limido, un posto oltre il quale finisce il contado Comense e inizia quello del Seprio, offre ben poco.

È una delle certezze di questo paese della bassa comasca, un nucleo cittadino dimenticato nelle grillaie, in quelle terre in cui scivola l’orografia e diventa tutto piatto.

Ho vissuto in quella casa dal 1977, in forza di una sentenza del Tribunale di Brescia, fino al 1998. Mia madre invece, fino agli inizi degli anni 20, in piena pandemia COVID.

E questi anni, oggi, in poco più di mezz’ora, sono stati, se non proprio cancellati, spazzati via. Abbiamo venduto la casa di Limido e oggi è stato l’ultimo atto burocratico di un travagliato percorso durato un anno.

Non sto qui a ricordare la mia infanzia a Limido, come quella di chi, sfigato, ha avuto la sfortuna di vivere in un paese dimenticato da dio. La concentrazione di tossicodipendenza tra i giovani era abbastanza elevata e i morti me li ricordo tutti, sulla mia pelle. Le mattane tra le vie del paese, tra il cimitero e la via Silvio Pellico, dove ora c’è un nucleo di case a schiera. La Bressana, il bellissimo bosco, nel cui centro c’era un’ovale pianeggiante, ampio, in cui ci si poteva incontrare, fare i picnic ed era incantevolmente ricoperto da foglie dei fitti boschi. La compagnia e lei, di cui non posso fare il nome, essendo il paese moooolto piccolo.

Il tutto concentrato in quel pugno di case tra il budello che passa dietro il Comune e porta alle scuole e la piazza dove c’è sempre stato un degrado non ancora debellato. La mia casa, enorme, vista un fracco di volte dall’aereo perché sulla rotta degli aerei di Malpensa. L’unica arancione, aperta a nord dal pratone immenso che portava alla Villa Scalini, adesso tutta recintata e ordinata con giochi e parchetti. Lì, andavamo a prendere le uova dei girini e le mettevamo nei barattoli di vetro.

Da lì, da quella casa, grande e enorme, con un ampio giardino, la grotta della Madonna di Lourdes, fortemente voluta da nonna, ho avuto il coraggio di andarmene e di aprire la mia mente per un futuro sicuramente migliore di quello se fossi rimasto lì…

Ma i miei ci sono rimasti, legati, assieme, fino alla morte di Pater. Ricordi, un susseguirsi di anni lunghissimi, senza emozioni e piatti come i terreni circostanti.

Mater si è trasferita dal profondo sud della trinacria panormitana al profondo sud comense. Non so bene perché proprio a Limido, ma la mia vita in quel piattume, sì, me la ricordo proprio tutta. 50 anni in quella casa, di quella casa, in cui Mater ha recintato la propria vita…

E oggi, la svolta. La decisione sofferta di venderla, perché non più sostenibile, perché una casa quando non ti protegge e non ti cinta i tuoi ricordi e gli affetti personali non è più casa. È solo ingombro, un pesante fardello.

A Busto, abbiamo apposto la firma, anzi le firme sugli atti legali. Davanti al notaio, che col nome che aveva, pensavo lo scongelassero direttamente dal museo egizio, una mummia, che si alzasse direttamente dal sarcofago. Ma era più giovane di me, e con un ciuffo alla Panténe Pro V. Che smacco! La prossima volta che andrò al Cinelandia dirò che ho più di 60 anni e mi prendo lo sconto…

È bastato solo un gesto ondulatorio del polso, che tutto quello che hai posseduto per 50, ti venisse tolto, per scelta, così in un attimo e in parte mi sono sentito spiazzato, giusto il pensiero di quanto poco contiamo su questa terra. Invece Mater…

La storia ci annienterà e di questi 50 anni rimarrà soltanto un ricordo…


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