La campagna “Io non rischio” della Protezione Civile non la capisco proprio. In questo weekend la stanno sbandierando tra Erba e Canterbury.
Certamente iniziativa lodevole quella di far conoscere le buone pratiche di fronte alle calamità che ci affliggono. Non voglio nemmeno criticare la Protezione Civile, la cui esistenza e attività siano benedette per il grande servizio svolto per la popolazione. Io stesso ho fatto il master di Protezione Civile nella blasonatissima università “In supremae dignitatis” di Pisa.
No, non mi piace la parola “Rischio” come tempo verbale associato alla prima persona. Cosa non rischio? La vita?
Sono diversi anni che mi arrovello su quell’Io, noto pure che spesso alla parola “Rischio” è associata quella, ormai chic & cool, che fa di nome resilienza. Io devo resistere alle sfighe della natura e non mettere a repentaglio la mia vita?
Ma c’è bisogno della Protezione Civile?
Ho capito, ma perché questo atteggiamento passivo e/o vittimistico?
Io “Non Rischio” doveva essere, ripeto – Nessun rischio – prendendo così le distanze da quell’io troppo ingombrante.
Mi spiego: se avessero incentrato la campagna su queste parole allora, a mio avviso, tutti avrebbero capito i motivi nobili della PC.
Dillo ai giapponesi, che in questi giorni si sono visti spazzare via diverse prefetture! Anche loro sono sprovveduti e hanno bisogno del Non Rischio? Eppure dalle immagini apocalittiche, si vedevano diversi treni parcheggiati, immagino, in qualche stazione e allineati in maniera millimetrica. Non credo loro si facciano le mene sulla “Resilienza”: resilienti lo sono già stati a suo tempo e parecchio direi.
Ecco, allora mi viene da suggerire un titolo migliore. “Consapevolezza”.
Io, in quanto uomo pensante e producente cose sia materiali sia intellettuali, SONO consapevole che qualche volta purtroppo capita la sfiga di trovarci la città alluvionata, terremotata, sconquassata. Ma io rischio, accetto ciò affinché con il mio atteggiamento di consapevolezza si possano ridurre al minimo gli effetti devastanti.
Io “Non Rischio” rischia, scusate il gioco di parole, di diventare un motivo per autoassolverci, per trovare giustificazione alla sfiga. Le buone pratiche di Protezione Civile lavano via i nostri dubbi e i tentennamenti della nostra società opulenta e grassa, incapace di rischiare.
Io devo rischiare prima e non già davanti al sottopasso allagato con il mio dubbio amletico dell’attraverso o non attraverso.
La buona pratica è la consapevolezza, non che la PC ci salvi dai pericoli.
Anche, certo, ma è il prima che manca e non il durante, o peggio ancora, il dopo, magari ad un funerale…
Io non metto a rischio la mia vita e quella degli altri, questo è sensato, ma devo sapere del pericolo con un atteggiamento propositivo e sereno.
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