La scelta del viaggio è stata faticosa come ho scritto ieri ma non pensavo che una volta partorito nella mente fosse così difficile da realizzare.
Avevo l’impressione che il destino volesse accanirsi contro di me per aver osato troppo. Andare in Norvegia durante la famigerata pandemia del secolo. Mi sentivo come sottofondo la colonna sonora Crime of the Century dei SuperTramp.
Finito il turno stamattina, con lo show, di cui non voglio dire niente per le persone coinvolte, ma di cui ci sarebbe molto da discutere nelle opportune sedi, arrivo a casa. Saluto Jake. Mi ritaglio quei dieci minuti per portarlo dal Beretta a fare colazione. Me lo saluto, lo coccolo, gli faccio mangiare tutta la crema e la schiuma del cappuccino.
Sapeva che poi l’avrei abbandonato con Mater…
Parto straconvintissimo per Linate. Il volo era alle 13. A livello di Fino Mornasco, mi si accende la lampadina, il senso di responsabilità che è in me, mi dice di controllare i documenti. Guardo e scopro che la partenza è Malpensa. Impreco dentro di me. Questa mania di Milano di avere due aeroporti, non collegati tra loro, non l’ho mai capita. Eppure giuro e stragiuro che quando ho scelto i voli mi sono accertato che partissero da Milano Linate. La giaculatoria dei santi mi ha seguito per tutta la strada, da Socco Cadorago, Lomazzo, Turate e poi la Pedemontana.
Mentre guido, smanetto col cellulare. Prenoto il parcheggio a Malpensa. Arrivo trafelato e preoccupato per il ritorno ma ci penso dopo. Mi presento al bancone della KLM. Alla assistente faccio vedere il QR code. Lo schifa perché -mi dice- non c’è il nome. Volevo risponderle che tra quei puntini se vedesse meglio, lo troverebbe. E le faccio vedere la certificazione del Sant’Anna tutta squalcita. Poi panico. Prende delle carte, l’Ipad, chiama la superiore: e no, lei non può andare in Norvegia. E diamine, perché? Non sa nemmeno lei cosa dirmi. Si consultano. Chiacchiericcio di pettegolezzi. Alla fine decretano che la Norvegia è chiusa e che non posso imbarcarmi. Inutilmente faccio presente che il volo l’ho prenotato il giorno prima e che era tutto a posto. Niente. Mi manda al bancone della biglietteria. La coda chilometrica. Penso al mio primo viaggio sfumato in aeroporto. Invece no, guardo i siti. Vengo rimandato al sito Norvegese. Leggo le testuali parole: Norway is NOW open regardless the purpose of the trip. Convintintissimo ora più che mai, ritorno dalla segaligna superiora della KLM. Non ho un atteggiamento spavaldo. Dopo lo show di stamattina mi sentivo mogio e demotivato. Le piazzo davanti al naso lo schermo del cellulare. Le leggo le parole in inglese. Lei mi guarda, guarda le altre. Non sa cosa dirmi. Io la incalzo. Senta lei può non farmi partire, ma mi dica il nome, o matricola, oppure me lo giustifichi di modo tale da attribuire le precise responsabilità. Altrimenti mi presento con la polizia. Dico queste parole con una calma indicile, senza rancore, guardandola dritta negli occhi, ma serio, come non lo sono mai stato durante la mia carriera di medico (beh pochissime volte).
Lei spiazzata, sbuffa, ok, mi fido di lei. E io prorompo in una fragorosa risata. Ma sei scema? Tu che ti fidi me? Sei tu, invece che non hai gli elenchi aggiornati e con leggerezza volevi mandare a monte un viaggio costato fatica e sangue. Dopo la carta di imbarco, mi precipito al gate, manca poco che chiudesse.
Finalmente sull’aereo, mi sono sentito libero. Non appena il boeing azzurro ha staccato le ruote, ho provato quella indicibile sensazione davvero di libertà e ho sopportato anche lo sbracamento dei ragazzini dietro di me, alla conquista di Amsterdam. Mi sono ascoltato tutto il loro cronoprogramma. Tra appuntamenti in case chiuse, al fumo a più non posso. Oh, raga!, che città grossa che c’è. Non sono riuscito a trattenermi. Ho risposto: è Bruxelles, idiota che non sei altro (ecco l’ho pensata questa seconda parte). Non vedi la sagoma del pentagono bruxellese fatto dai viali che circondano il centro? Raga, fiiiico, siamo in Belgio. Ecco in quel momento li avrei defenestrati ben volentieri.
Amsterdam, vuota, come non mai, negozi chiusi, zoccole pochine, i viali del centro dove dovevi sgomitare per passare erano vuoti. Meglio così. Il girettino per il centro e poi di nuovo in aeroporto alle 18.
Per inciso a Schipol, nonostante provenissi dall’esterno, un perfetto sconosciuto, non mi hanno chiesto nulla sul vaccino e sul QR code. Misteri europei…