Lo stemma della città di Como

In questi giorni tiene banco la discussione sullo stemma della città di Como. Il sindaco, con la nobile intenzione nel fare ordine tra la burocrazia cittadina, afferma che lo stemma attualmente in uso non è corretto. A conferma di ciò aggiunge che è stata fatta un’approfondita ricerca presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ente che regolamenta le concessioni degli stemmi civici.

Questa affermazione risulta incompleta e insufficiente.

Ma andiamo poco alla volta, passo dopo passo. Prima vi racconto la storia dello stemma di Como (che potete saltare se vi annoia), poi vi spiego qual è il problema e, infine, suggerirò una via d’uscita secondo la mia modesta opinione.

STORIA

Risale al periodo dei liberi Comuni lo stemma di Como, riconosciuto nel 1936 sulla base dell’istanza approvata dal Consiglio Comunale, presieduto dal Podestà Luigi Negretti, il 15 giugno 1934.

Alla delibera fu allegata un’importante relazione storica del 23 settembre 1930, redatta dal bibliotecario Carlo Volpati.

Lo stemma di cui si chiedeva il riconoscimento era conforme a quello descritto nella Sovrana Patente del 7 novembre 1855, firmata dall’Imperatore Francesco Giuseppe d’Austria: uno scudo rosso attraversato da una croce d’argento. Sull’orlo principale dello scudo è posta una corona d’oro ornata di pietre preziose con cinque punte in forma di foglie e quattro perle collocate fra le cinque punte, dalla quale corona emerge un’aquila con becchi d’oro e lingue rosse distese, una corona d’oro ad archetti su ciascuna delle teste, e disposte al volo. I lati e l’orlo inferiore dello scudo sono contornati da un arabesco d’oro.

Veniva inoltre precisato che lo stemma dovesse avere particolari caratteristiche.

Leggendo la delibera, nei punti successivi, veniva, infatti, scritto: risulta che da antica tradizione lo stemma, eccetto l’aquila bicipite, risulta in uso nella forma embricata, col motto “libertas”, scritto in lettere nere trasversalmente sull’angolo inferiore destro dello scudo; che [lo stemma]…figura, fra l’altro nella sala del Parlamento a Torino, nonché sulla bandiera tessuta e donata dalle donne comasche al Comune nel 1859; che la curvatura dello scudo, il motto e la corona sono elementi essenziali e caratteristici dello stemma civico di Como; che nella forma suesposta lo stemma fu usato costantemente dal Comune, salvo impedimenti in forza di vicende storiche, come risulta dai documenti cui accenna la relazione…

In questa forma e con la croce centrata o centinata, fu riconosciuto lo stemma con apposito decreto due anni dopo.

L’emblema di Como è antichissimo: la croce è una delle più frequenti figure usate nell’araldica civica, specialmente in Lombardia. La portano nei loro stemmi le città di Milano, Pavia, Lecco, Alessandria, Novara e molte altre città minori.
Questa figura era assai diffusa nel secolo XII, quando molti comuni sostituirono l’aquila imperiale con la figura della croce, in un’età di declino dell’Impero. L’origine della croce come figura araldica va posta in relazione a quel grandioso fatto storico che fu la prima crociata del 1096.
La croce fregiava i guerrieri mossi alla liberazione del sepolcro di Cristo, i quali, ritornati in patria, vollero conservarla come insegna.


Dal momento che i crociati portavano la croce dipinta sul bianco camiciotto di lino con cui essi coprivano la loro armatura per ripararsi dal sole cocente, si può immaginare che in origine negli stemmi delle città lo sfondo fosse di argento con la croce di rosso (com’è tuttora nello stemma di Milano e di molte altre città); l’inversione di tali colori nello stemma di Como sembra un fatto posteriore, conseguente alle lotte tra città e alla loro divisione in fazioni ghibelline e guelfe.

Per quanto riguarda gli smalti era consuetudine distinguere lo stemma di rosso con la croce d’argento in quelle città di parte ghibellina, mentre, al contrario, lo stemma di argento con la croce di rosso, nelle città di fede guelfa.

Como fu, per antagonismo con Milano, seguace e fautrice dell’Impero.

Non esistono descrizioni storiche dello stemma di Como, se non quella presente nella sovrana patente dell’Imperatore d’Austria.

Nel Liber Cumanus, in cui un anonimo scrittore descrive le vicende della decennale guerra tra Como e Milano, il vessillo presunto di Como viene destritto con rubra signa, bandiere rosse. Alcuni studiosi vollero sottintendere che a rubra signa dovessero essere aggiunte le parole cum cruce alba.

Su questo fatto storico non c’è un parere unanime.

Padre Maria Antonio, scrittore di Gravedona, che dedicò al Liber Cumanus molti studi, fu accusato di essere più matto che savio e più gramo che buono dal suo collega don Santo Monti negli Atti Ninguarda.
Il parroco di Laino, sacerdote Pietro Fontana, che fece un lungo trattato sullo stemma di Como, ravvisò in questi rubra signa dei segni di tradimento da parte di Corrado durante l’assedio al castello di Dervio, il cui vessillo è anch’esso di rosso e di argento.

Al di là della sua descrizione, lo stemma di Como venne raffigurato in molti documenti storici, tra i quali il più antico, fu lo stemmario Trivulziano del XV secolo, e su monumenti importanti come la Certosa di Pavia, fatta erigere da Gian Galeazzo Visconti nel 1402.

Nel secolo successivo, si possono trovare delle testimonianze in un frammento di marmo conservato nel Museo Civico di Como e la raffigurazione nello stemmario Archinto (ripreso poi a sua volta dallo stemmario Trivulziano).

Nei secoli successivi, l’emblema di Como è presente nello stemmario del 1673 del Cremosano (nel quale però il colore degli smalti è stato erroneamente invertito), nel compendio del Ballarini, nel volume Italia Sacra di Ferdinando Ughelli (vol. V), nel libro Città, fortezze, isole e porti principali d’Europa di Vincenzo Coronelli del 1680, nello stemmario manoscritto del Carpani, posseduto dalla Biblioteca di Como e conservato nei Musei Civici di Como e nel Codice degli Stemmi delle città, riconosciuti dal 3 aprile 1816 al 2 ottobre 1835, conservato nell’Archivio di Stato di Milano.

Si arriva così al documento di riconoscimento ufficiale dell’Imperatore Francesco Giuseppe del 1855, contenente il disegno a colori dello stemma, quale fu riconosciuto a Como con sovrana risoluzione del 9 novembre 1819, quando la città di Como fu elevata al grado di Città Regia dall’Imperatore Francesco I.

Lo stemma di Como, come stabilito nell’istanza di riconoscimento, fu anche raffigurato nella volta dell’Aula della Camera dei Deputati a Torino nel 1861.
Per finire, lo stemma di Como fu inserito nell’emblema della Provincia, concesso con Regio Decreto del 1925.

Assodato che la croce d’argento su fondo di rosso è il simbolo indiscusso di Como, ci furono invece parecchie discussioni, a volte discordanti, sulla sua forma e sul motto libertas che campeggia in uno dei cantoni della croce.

La curvatura della croce

Per quanto riguarda la particolare forma incurvata, il problema fu discusso da parecchi storici ma non fu trovata una spiegazione plausibile.

La testimonianza più antica di stemma ricurvo si trova nel disegno nello Stemmario Comasco del secolo ‘700 , conservato presso la biblioteca comunale di Como. La curvatura in questo disegno però era limitata alla sola fascia, il braccio orizzontale della croce.

In altri disegni, la curvatura era estesa non soltanto alla pezza araldica della fascia ma a tutta la croce e allo scudo intero. Uno dei quali si trova nel frontespizio del primo volume dell’opera di Tatti: Annali Sacri della Città di Como (1663). La curvatura è presente anche nelle raffigurazioni dello stemma nei manifesti del secolo XVIII e del secolo XIX.

La vera questione della curvatura emerse quando si dovette dipingere lo stemma cittadino nella nuova aula del Parlamento a Torino. A sollevare il problema fu Alessandro Verney Franchi, incaricato di dipingere sulla volta di Palazzo Carignano le armi delle principali città, perché nei disegni trasmessi dal comune di Como al governo di Torino.

Lo stemma comunque fu disegnato con questa caratteristica nella sala del Parlamento perché in questo modo lo stemma di Como si differenziava dall’emblema di Stato, riconosciuto nell’arme dei Savoia, raffigurante anch’esso una croce d’argento su fondo rosso.

Lo storico Cesare Cantù, che ebbe una lunga e fitta corrispondenza con il Verney, si occupò di tale problema. Nel 1863, scrisse un articolo, apparso nell’Almanacco o Manuale della Provincia di Como. Secondo il Cantù, lo stemma di Como possedeva tale proprietà perché veniva raffigurato in questo modo in un messale patriarchino, di cui non citò mai la fonte, e quindi questa particolare caratteristica veniva giudicata antica e propria dello stemma.
L’affermazione del Cantù non può considerarsi verità storica. Nei due messali esistenti, uno conservato nell’Archivio del Duomo di Milano, l’altro di proprietà di Monsignor Macchi, Vescovo di Como, non era rappresentato nessuno stemma così descritto.

Sulla curvatura non tutti furono d’accordo con il Cantù, anzi nello studio del prevosto Mazza le argomentazioni del Cantù furono completamente smontate. In araldica, non esiste una fascia o un palo con la foggia ricurva: la croce centinata, con le pezze araldiche ricurve, è dovuta soltanto ad ignoranza o a particolari esigenze per adattare le figure all’interno di scudi ovali.

La curvatura presente negli antichi stemmi del 1700 probabilmente era frutto di fantasia di artisti che vollero disegnarla in questo modo, ma era del tutto inaccettabile dal punto di vista araldico. Il sacerdote Mazza non si limitò soltanto a rigettare le spiegazioni del Cantù, ma ne diede una sua del tutto particolare e anche politica.

La confusione nacque quando i comaschi usarono per la prima volta il termine centrata per indicare la precisa posizione centrale, appunto, dello stemma di Como disegnato dal Morazzone, presente sulla finestra bifora della torre campanaria di Como, attigua al Broletto.

Da qui il termine centrata, fu identificato con la parola centinata, termine corretto, per indicare la particolare curvatura della croce.

Nel breve periodo napoleonico, precisamente negli anni 1812 e 1813, la città di Como presentò una domanda di riconoscimento del proprio stemma che fu approvato come croce piena, o dritta, con il quarto cantone di colore verde caricato da una N sormontata da un astro, il tutto d’oro.

Col governo austriaco, invece, i Comaschi rigettarono questa forma di stemma per accettare quella precedente, risalente al 1796. La Cancelleria di Vienna, così, approvò un nuovo stemma che fu descritto nel diploma del 3 novembre 1819, con queste precise parole: scudo rosso con croce piena centrata.

Benché i comaschi non intendessero con la parola centrata la particolare forma della croce, bensì la sua posizione, accettarono il nuovo stemma soprattutto per ripudiare la precedente tirannia e per differenziarla dalla croce di Milano, che aveva la foggia di croce dritta.
Il Mazza concluse la sua argomentazione con le seguenti parole: quanto può essere significativo pe’ la città di Como, il fatto dai Comensi compiuto di poter possedere piegato ad embrice o centinato il segno della croce del loro emblema, venendo così, inconsapevolmente, con tale atto a imprentare in esso il segnacolo che ricorda il triste evento che li portò a piegare la loro virtù all’esigenze de’ loro avversari.

Le ragioni politiche erano ben più gravi della mancata traduzione corretta del termine centrata, che portò alla particolare forma della croce di Como.

La parola Libertas

Per quanto riguarda invece la parola Libertas, le argomentazioni furono più facili e gli storici si trovarono d’accordo.
Nel Compendio delle Croniche di Como del Ballarini, si afferma che i comaschi scrivevano già nel mezzo [dello stendardo comunale] il motto “libertas”, tralasciato sotto la signoria dei Visconti… perso per giudizio divino quando fu estinto lo prezioso nome di libertà, per essersi di quello abusato al tempo delle parti.

Secondo il professor Giuseppe Brambilla, in una breve memoria sullo stemma fatta nel 1869 per incarico del Municipio e conservato nell’Archivio del Comune, la parola libertas sarebbe stata aggiunta quando Federico Barbarossa liberò Como dalla tirannide di Milano; fu levata quando Como si diede ai Visconti, riapparve quando la città si governò a repubblica, di nuovo scomparve sotto il dispotismo spagnolo.

Fu Cesare Cantù che volle che la parola libertas fosse scritta nel IV cantone in banda, perché l’aveva vista stampata nello stemma presente nel fantomatico messale patriarchino, ma soprattutto perché serviva a differenziare lo stemma di Como da quello dei Savoia, emblema di Stato.

La parola libertas era presente nel dipinto affrescato sulla volta della sala del Parlamento, e anche nella bandiera inaugurata nel 1859, quando la dominazione austriaca ebbe per sempre fine. Da allora la scritta libertas divenne una peculiare caratteristica dello stemma di Como e come tale evidenziata nell’ultima richiesta del 1936.

Il Mazza, però, ancora una volta stravolse il problema. Per prima cosa ritenne che la parola libertas inserita nel IV cantone in diagonale non avesse nessuna valenza araldica; infatti qualsiasi motto doveva essere scritto o nella fascia orizzontale della croce o su lista bifida ai piedi dello scudo .

La parola libertas, secondo le parole già riportate del Ballarini, veniva posta in mezzo, o nella parte superiore o inferiore dello stendardo, dunque non nel campo tanto meno nel quarto cantone della croce.

Secondariamente, ritenne che non fosse mai stata apposta in nessuno stemma prima di quello disegnato a Torino.
Non era presente infatti nei documenti storici nemmeno nelle rappresentazioni degli stemmi del periodo napoleonico e austriaco. Soprattutto non compariva neanche nello stemma figurato dal Morazzone, dal quale nacque poi tutta la confusione della parola centrata e da qui la curvatura dello stemma.

Quando il Ballarini parlava di Libertas, la parola era presente nell’antico stemma e non in quello da sempre considerato l’emblema di Como. Nel suo Compendio delle Croniche della Città di Como, affermava che i comaschi portavano nello stemma il segno della santa croce di color bianco in campo rosso… quandoché prima si servivano dell’aquila nera impresa dagli imperatori romani.

Per il Mazza queste parole non potevano essere messe in discussione perché non vi erano altri documenti che potessero mettere in dubbio questa affermazione.
Il motto fu tolto durante il dominio dei Visconti, ma più in generale fu eliminato assieme al vecchio emblema.
Il Ballarini affermava che per i patti e le obbligazioni di pace imposte dai vincitori tornaschi ai vinti di Como questi furono obbligati a mettere nell’arma della città una croce bianca in campo rosso e vestire i servitori di bianco e di rosso, dove che prima portavano per insegna un’aquila nera in campo di giallo.

Queste parole chiare e precise mettevano in piena luce quale fosse il vero stemma moderno e quale fosse l’antico. L’antico era un’arma di concessione del superbo imperatore tedesco, da questi data per dimostrare la sua regale amicizia e protezione verso la fedele alleata Como; mentre il moderno , cioè quello imposto dalla borgata di Torno, era un simbolo di sottomissione, che ricordava ai comaschi un triste episodio.

Il fatto che Como possedesse un antico stemma non fu segnalato nella relazione storica che accompagnava l’istanza di riconoscimento del 1934.
L’importante per il comune di Como era che nello stemma venisse riconosciuta anche la parola libertas. Che fosse stato il motto dell’antico stemma e che fosse posto nel IV cantone per un capriccio di Cesare Cantù volendo differenziare l’arma di Como da quella di Milano, erano delle sottigliezze da non prendere in considerazione.

La corona

La prima rappresentazione della corona si trova nello stemma disegnato nella pianta topografica di Como, contenuta nell’opera del 1680 di Vincenzo Coronelli. Non aveva la forma delle corone di città, con mura e torri, bensì feudale, composta da un cerchio fregiato di gemme e sormontato da otto punte (cinque visibili) recanti in cima altrettante perle. Con una forma visibile , fu riprodotta nei manifesti municipali del 1796 e del 1807. La corona fu approvata legalmente quando la città fu elevata al grado di città regia. Nel diploma del 1855, la corona era raffigurata con otto (cinque visibili) fioroni d’oro, sostenuti da altrettante punte e bottonati di una perla, il cerchio, coi margini cordonati, è pure fregiato da otto gemme (rubini e smeraldi).

Nello stemma entrato in vigore nel 1859, la corona era cimata da sei fioroni d’oro (tre visibili), sostenuti da punte e alternati da quattro perle (due visibili), il cerchio era fregiato da gemme di forma romboidale e sferica.
Successivamente la figura delle corona veniva a differenziarsi nei particolari del disegno dei fioroni e delle punte, dovuti all’inventiva dei disegnatori, privi di un unico e sicuro modello cui far riferimento.

Nella relazione storica si proponeva, come postilla finale, di cambiare la corona feudale perché avente un’origine tutt’altro che simpatica e conforme ai sentimenti nazionali,… tanto più che la motivazione storica di quella corona, non ha oramai più alcuna consistenza.
Carlo Volpati, bibliotecario e redattore della relazione storica, suggerì di inserire la corona turrita, che è la vera corona pertinente alla città, tanto più che Como, se ora non è più fortificata, lo fu nel passato, e di ciò conserva vestigia insigni e molto appariscenti nelle torri e nelle mura, che costituiscono un tratto caratteristico del suo volto.

Per quanto riguarda i fregi laterali, furono inseriti nel famoso diploma del 1819 e mantenuti fino al riconoscimento definitivo.

Il problema tra il vecchio e il nuovo stemma

La documentazione sullo stemma e sul gonfalone del Comune di Como è depositata presso l’Archivio Centrale dello Stato di Como, precisamente nella busta 183 all’interno del fascicolo 2804.6.

Lo stemma di Como ha ottenuto un RICONOSCIMENTO dal Capo di Governo 17 aprile 1936 e una CONCESSIONE il 9 marzo 1979 limitatamente al gonfalone. La parola RICONOSCIMENTO implica la presenza di uno stemma già usato ab antiquo dal Comune, la CONCESSIONE è il decreto legge firmato dal presidente della Repubblica, che ufficializza l’uso del gonfalone da parte del comune di Como.

Lo stemma di Como è riconosciuto, ossia viene ufficializzato così come è stato usato da sempre dal comune. Lo stemma di riferimento è la miniatura allegata alla Regia Patente del 1859, che, a sua volta, è ripreso dal bozzetto del 1819 quando Como è stata elevata a città Regia. Dunque lo stemma di Como è stato riconosciuto, cioè ufficializzato con atti specifici, per ben tre volte. Dunque è scorretto dire che lo stemma è sbagliato. Semplicemente è arrivato a noi, grazie ai secoli di storia della città, lungo i quali lo stemma è stato modificato come è stato riportato precedentemente.

Il gonfalone, su cui viene ricamato lo stemma, ripreso da un bozzetto, è stato concesso dopo ben 40 anni. Nel frattempo lo stato italiano è diventata una repubblica e sono state introdotte delle leggi specifiche, tra tutte quella del 7 giugno 1943, che normavano l’araldica italiana. In questo testo di legge, venivano normate la corona, lo scudo, il serto e il nastro tricolore, tutti elementi assenti nell’araldica prima di questa legge.

Quando il comune decise di dotarsi di un gonfalone, il bozzetto dello stemma, non è stato ripreso dalla regia patente o dal decreto del Capo di Governo. Fu miniaturizzato uno stemma nuovo, con le previste normative di legge. Lo scudo sannitico, cioè a forma rettangolare e terminante con una punta, il serto, un ramoscello di quercia e di olivo, e il nastro tricolorato.

Mi sfugge al momento attuale perché è stata assunta una corona comitale con nove punte, infilzate da perle, anziché usare una corona murata prevista per le città, e forse, come diceva il prevosto Mazza, ancorché più idonea per rappresentare il comune di Como, che è circondata per buona parte da mura. Probabilmente per richiamare il contado di Como, sostanzialmente una provincia di Milano.

Per cui non c’è uno stemma sbagliato e uno giusto. L’unica vera indicazione di stemma si trova SOLO nel Decreto del Capo di Governo del 1936. Nel Decreto del Presidente della Repubblica si trova soltanto la descrizione del gonfalone e di nient’altro. Ci sono però i bozzetti, che sono stati creati appositamente, perché il gonfalone è un emblema civico, ma nessun atto che descriva lo stemma.

Siamo di fronte, sostanzialmente ad un conflitto tra emblemi civici, lo stemma da una parte, che ha una storia millenaria e dall’altra il gonfalone che contiene in sé lo stemma “normalizzato” e adeguato alle leggi moderne.

Voglio trascrivere il parere di un grande araldista di fama internazionale, che ha disegnato la maggior parte degli stemmi di Italia, e grande amico, Massimo Ghirardi:

L’ufficio Comunicazione di Palazzo Cernezzi ha chiesto il parere all’Ufficio Onorificenze e Araldica della Presidenza del Consiglio dei Ministri al fine di identificare correttamente lo stemma comunale. L’ufficio non poteva che rispondere “che lo stemma deve essere descritto come appare nella blasonatura del Decreto del Capo del Governo datato 17 aprile 1936” (capo del governo era Benito Mussolini, ndr). Ovvero così di seguito indicato: “Di rosso alla croce d’argento centrata, al motto “LIBERTAS”, di nero in banda nel quarto cantone. Ornamenti esteriori da Città con corona comitale”.

Molti araldisti hanno storto il naso di fronte a quella che appare come una “normalizzazione” (e standardizzazione) dello stemma comasco, ma dal punto di vista araldico non è proprio così. Lo stemma “nuovo” ha graficamente perso i fogliami caratteristici che sporgevano da dietro lo scudo, porta una corona del rango di “conte” ed è “insignito” dell’ordinario serto di alloro e quercia legato da un nastro tricolore, che la conformazione prescritta dal Regolamento Tecnico Araldico (del Regio Decreto del Re d’Italia Vittorio Emanuele III del 7 giugno 1943 n. 651dal titolo “Ordinamento della stato nobiliare italiano” e n. 652 “Regolamento per la Consulta Araldica del Regno”, che dispongono anche per l’araldica degli altri Enti Morali). Ma uno stemma non è un logo (come afferma, erroneamente, anche il Comune) e dal punto di vista tecnico (araldico) lo stemma non è cambiato: è quello descritto nel blasone che, ricordiamo, è la descrizione “a parole” dell’emblema (e non il suo disegno). Per questa loro caratteristica gli stemmi, ferme restando figure, colori e partizioni, possono essere disegnati in vari modi (anche se il Regolamento prescrive lo scudo “sannitico”, pressoché rettangolare).

Certo lo stemma con i fogliami dorati contraddistingueva (fino ad ora) “a colpo d’occhio” lo stemma di Como, che si differenzia da decine di altri stemmi consimili (cioè “di rosso alla croce d’argento”) per la presenza della parola LIBERTAS e la “curvatura” del traverso orizzontale della croce (caso non unico in Italia).

Certo le prescrizioni regolamentari “appiattiscono” gli stemmi civici su un solo modello, per altro abbastanza superato, a discapito di altre “versioni” artisticamente esteticamente più significative.

Non posso che essere d’accordo con questa visione.

Soluzioni

A quanto sembra non c’è nessun problema. Lo stemma di Como può essere utilizzato ancora per i prossimi mille anni, così come lo abbiamo imparato a conoscere in tutte le intestazioni. Certo la curvatura della croce di Como, come dice l’altro sommo araldista, Marco Foppoli, è un’imposizione araldica trascinata nei secoli: La grande fesseria di questo stemma è la croce “centrata”, una corruzione grafica originata dagli scudi ovoidali baroccheggianti che arcuavano le croci per conferire una “tridimensionalità” visiva, corruzione che fu “sancita” burocraticamente da araldisti incompetenti. Lo stemma storico di Como è semplicemente una croce argentea su rosso, la croce “ghibellina”.

Tuttavia abbiamo imparato ad amare questo stemma, proprio per la bellissima corona, per i fregi d’oro uscenti dai lati dello scudo. Lo stemma di Como è un unicum nell’araldica italiana. Nonostante le centinaia di stemmi simili, addirittura la Svizzera ha la croce d’argento, lo stemma di Como si riconosce subito proprio per la sua forma e per la scritta LIBERTAS.

Se proprio vogliamo piegarci alla normalizzazione e alla standardizzazione, con la brutta croce centrata solo nella fascia con i ghirigori aggiunti, che Como non ha mai posseduto proprio perché inventati con la legge del 1943, e la corona comitale, allora è d’obbligo intraprendere un nuovo cammino che preveda una CONCESSIONE dello stemma EX NOVO con le caratteristiche previste dall’araldica italiana. Non solo, bisogna anche cambiare lo statuto negli articoli dove viene descritto minuziosamente lo stemma della città.

Spero che questa lunghissima dissertazione abbia dissipato tutti i dubbi sullo stemma di Como e sul suo gonfalone, affinché nelle sedi preposte si possa discutere con serenità quale sarà il destino di Como, passando anche dai suoi emblemi civici.

Sul mio blog ci sono altre immagini dello stemma di Como.


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