Non so, ma alla Regione dell’Abruzzo è partito l’embolo e quelli del Consiglio soffrivano probabilmente di ansia da prestazione.
Dal momento che le altre regioni hanno dentro il proprio emblema degli oggetti identitari del territorio (l’aquila per il Friuli, il leone alato e nimbato per il Veneto, la rosa camuna per la Lombardia, i ceri di gubbio per l’Umbria, il pegaso per la Toscana, la trinacria per la Sicilia, i mori per la Sardegna, l’ulivo per la Puglia, la repubblica di Amalfi per la Campania), perché l’Abruzzo non dovrebbe adeguarsi in tal senso?
Preciso che la Regione aveva uno stemma non brillante ma del tutto dignitoso, semplice ma perfettamente in linea con le regole araldiche. Semplicissimo, riconoscibilissimo e, perché no?, identitario!
No, il governo abruzzese ha ingoiato i regolamenti di araldica (che non sono applicabili alle regioni perché nate negli anni ’70), ha cercato diversi elementi che fossero il più possibile abruzzesi, ha mischiato su tutto e il Consiglio Regionale, tutti assieme, ha partorito l’obbrorio che potete vedere.
Ora, io non entro nel merito storico degli oggetti, ma a quanto pare sono tutti contestabilissimi.
Il “Guerriero di Capestrano”, una statua conservata in un museo teatino, raffigura il soldato nelle sue fattezze femminee, con gambe ben tornite, le mani sul ventre a trattenere la spada, forse un po’ troppo cushingoide, una maschera e questo bizzarro copricapo. Una specie di Lady Oscar dell’antichità. Dicono che risale alla cultura picena, che mi pare si trovi un po’ più in alto, rispetto all’attuale Abruzzo.
Il motto su nastro bifido e svolazzante di colore blu, e qui proprio una sboronata, tratta dal Plinio il Vecchio, Gentium Vel Fortissimarum Italiae, la più fortissima tribù di Italia, traducendo alla Checco Zalone, riferita ai Sanniti, popolo stanziato in basso, al confine con la Puglia, dal mediterraneo e che arrivava a Pescara.
Non voglio entrare nei meandri storici ma solo araldici. Il nuovo stemma è uguale al precedente, ci hanno solo appiccicato, ritagliandolo da una foto, il povero guerriero, andando contro le regole araldiche. Forse proprio per questo motivo, i geniacci della regione hanno cercato dunque di seguire quelle quattro regole araldiche valevoli per i comuni e per le province (ma solo quella di Varese l’ha recepita): lo scudo moderno e il serto di ulivo e quercia, che tra l’altro nel bozzetto originale (andate a vederlo) sembrano un po’ stitici e sofferenti, forse per colpa della siccità.
Ma per finire in bellezza, ci hanno pure messo una bella corona, inventata di sana pianta. Una corona all’antica: chi siamo noi, umile popolo abruzzese per metterci in testa una corona elaborata? Stiamo pure schisci: ma perché non ci mettiamo qualche gemma, copiando di pari passo quella della Provincia, che loro sì, hanno un territorio nobile e prestigioso, per non parlare dell’uso ab antiquo di questa corona? Non coloriamo le gemme, prima che qualcuno se ne accorga.
Aiuuuuuuuuto.
Amen, Sospiri, che non è solo il presidente del Consiglio della Regione Abruzzo che ha fatto votare tutti i suoi adepti e pure la minoranza, a quanto pare, ‘sta boiata oppure, in francese moderno, ‘sta stronzata. Complimenti! Adesso sì che avete uno stemma proprio brutto, un pastrocchio inguardabile, con un soldato che non è nemmeno stilizzato o per lo meno inserito in un campo dello scudo a se stante. No!
A questo punto, davvero, sarebbe stato molto più dignitoso, ma molto di più, metterci l’arrosticino, spiaccicato lì bello in “palo”, e anvedi che elemento di abruzzesità avrebbero avuto. Molto più identitario di una Lady Oscar dubbia e di una massima che, pur scritta da Plinio il Vecchio, in questo contesto, ridicolizza il tutto.
PS: lo stemma l’ho riprodotto io, e non ho copiato niente. Il disegno è mio sulla base del bozzetto originale. Capito Wikipedia e Social Media Manager della Polizia Locale di Como?
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